Lo psicoterapeuta Claudio Dalpiaz, in un’intervista a Sanità Informazione, delinea l’identikit dello shopper compulsivo e offre consigli utili a coloro che, pur non avendo comportamenti patologici, vorrebbero utilizzare il portafogli in modo più consapevole. Dalla Flinders University le linee guida per diagnosi e trattamento dello shopping compulsivo
Se Rebecca Bloomwood, la protagonista del film I Love Shopping, tratto dall’omonimo romanzo, fosse vissuta nel 2021 avrebbe accumulato molto più di 17 mila dollari di debiti. Nell’era dell’e-commerce, dove tutto è a portata di click, compresi prodotti fabbricati in ogni parte del globo, sono sempre di più gli shopaholic, ovvero maniaci dello shopping. E, senza alcun dubbio, per Rebecca Bloomwood sarebbe stato questo uno dei periodi più pericolosi dell’anno: i saldi estivi, inaugurati, tra oggi e domani, nella maggior parte delle regioni italiane. Ma attenzione a non esagerare: se lo shopaholic diventa una passione incontrollata può sfociare in un vero e proprio disturbo psicologico: lo shopping compulsivo.
«Potremmo cominciare ponendoci due semplici domande – dice Claudio Dalpiaz, psicologo e psicoterapeuta, membro dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, presidente PsyPlus ETS -. “Hai mai sentito il bisogno di aumentare i tuoi acquisti, comprando cose di scarsa utilità e non riuscendo a resistere alla tentazione di farlo?”. Ancora: “Hai mai mentito a persone a te care sui tuoi acquisti?”. Se la risposta è affermativa anche ad una sola delle due – aggiunge lo specialista – allora è molto probabile che il disagio si stia trasformando in qualcosa di più complesso, tanto da meritare la supervisione di uno specialista».
Lo shopping può creare dipendenza, esattamente come l’alcol e le droghe. «Al pari delle sostanze stupefacenti, lo shopping viene “autosomministrato” in particolari condizioni – spiega Dalpiaz – che possono essere caratterizzate da un’urgenza positiva o negativa. Quest’ultima si attiva in situazioni di ansia, tristezza o depressione, stati negativi a cui si risponde comprando qualcosa. Il benessere che ne deriva può spingere l’individuo a ripetere la stessa azione ogni volta che percepirà un umore negativo. La dipendenza, infatti non è la risposta ad un problema, può solo far dimenticare temporaneamente la domanda. Interrogativo che, inevitabilmente, ritornerà di nuovo ad assillare la mente, innescando un circolo vizioso: si compra per scacciare la tristezza, ma poco dopo ci si sente in colpa per aver speso cifre eccessive in acquisti inutili. Questo senso di auto-colpevolezza sarà, a sua volta, placato con lo shopping. E cosi via».
L’epilogo non è difficile da immaginare: gli acquisti diventeranno compulsivi, incrinando le relazioni e compromettendo la performance professionale. «In altri soggetti lo stesso meccanismo può essere innescato da un’urgenza positiva. Si tratta per lo più di individui anedonici che, incapaci, in modo totale o parziale, di provare soddisfazione, appagamento o interesse nelle consuete attività piacevoli, ne ricercano altre più stimolanti, come lo shopping incontrollato».
Una ricerca ininterrotta del piacere oggi semplificata dalla diffusione delle nuove tecnologie, in particolare dall’e-commerce. Se prima “l’amante dello shopping” dedicava un giorno alla settimane alla sua mania, oggi può farlo in qualsiasi momento della giornata, impiegando pochi minuti. «Utilizzare la carta di credito per un acquisto online è di gran lunga più facile che uscire di casa, entrare in un negozio, scegliere cosa comprare ed aprire il portafoglio per pagare. Una semplicità di azione – sottolinea lo psicologo – che aumenta, senz’altro, il rischio di shopping compulsivo in un soggetto a rischio ed una maggiore diffusione del disturbo tra la popolazione in generale».
Non è un caso, dunque, che nonostante lo shopping compulsivo sia descritto in ambito clinico da oltre un secolo senza una diagnosi formalmente accettata, proprio ora gli esperti abbiano sentito l’esigenza di arrivare ad un punto di svolta. Un nuovo studio guidato dalla Flinders University, pubblicato sul Journal of Behavioral Addictions, infatti, ha fornito delle linee guida per migliorare i trattamenti e i processi diagnostici futuri. Il documento, nato da una consultazione che ha coinvolto 138 esperti internazionali (ricercatori e medici) di 35 paesi diversi, conferma che acquisti compulsivi ed eccessivi possono essere così gravi da costituire un disturbo, offrendo a ricercatori e medici nuove opportunità per sviluppare interventi più mirati per questa condizione debilitante.
Tuttavia amare lo shopping non significa necessariamente esserne dipendenti. «A coloro che vogliono contenere i propri acquisti, soprattutto quelli voluttuari – dice lo psicoterapeuta – consiglio di definire un budget mensile per le spese non necessarie e di appuntarle su un diario, affiancando anche una descrizione del proprio stato d’animo al momento dell’acquisto. Evidenziate le cose per cui si tende a spendere di più e l’umore più spesso associato, sarà possibile concentrarsi sulla ricerca di alternative, come attività capaci di modificare ugualmente il proprio stato d’animo da negativo a positivo». Proprio come Rebecca Bloomwood che, dopo numerose disavventure, solo vendendo tutti i suoi vestiti e saldando tutti i debiti accumulati, riuscirà finalmente a ritrovare la sua serenità.
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