I risultati dello studio multicentrico condotto da un team di medici dell’Unità operativa complessa di pneumologia del San Gerardo di Monza in collaborazione con l’Università Bicocca
Il Covid lascia segni di polmonite in chi guarisce, ma non solo. A rivelarlo è il primo studio multicentrico italiano condotto dall’Unità operativa complessa di pneumologia dell’ASST di Monza in collaborazione con l’Università Milano Bicocca, a 6 e 12 mesi dalla comparsa della malattia da SARS-CoV-2, per capire gli effetti a lungo termine del Covid-19.
Dei 312 soggetti valutati, molti presentano ancora oggi delle alterazioni respiratorie evidenziate attraverso una serie di esami effettuati. «Durante la visita a 6 mesi i pazienti sono stati sottoposti a prove funzionali respiratorie complete, test del cammino per 6 minuti, esame obiettivo, radiografia del torace e questionario sui sintomi respiratori – spiegano i medici dell’Unità operativa complessa di pneumologia -. Nella seconda visita a 12 mesi sono stati ripetuti tutti gli esami con un’unica differenza: al posto della radiografia del torace è stata effettuata la TAC ad alta risoluzione».
Un’analisi attenta che ha rivelato la presenza di alterazioni delle prove funzionali respiratorie in una percentuale considerevole dei pazienti oggetto dello studio. In particolare, i due esami che si sono rivelati più “sensibili” nell’individuare le sequele polmonari sono la diffusione alveolo-capillare del monossido di carbonio (DLCO), che costituisce un parametro misurabile nell’ambito delle prove funzionali respiratorie, e la radiografia del torace. Entrambi gli esami hanno mostrato delle alterazioni lievi rispettivamente nel 46% e nel 25% dei pazienti valutati».
Meno problemi per coloro che avevano ricevuto eparina a dosaggio profilattico durante il ricovero ospedaliero. Infatti, lo studio ha rivelato che grazie all’anticoagulante i pazienti hanno meno probabilità di presentare un’alterazione del parametro “diffusione alveolo-capillare del monossido di carbonio” sei mesi dopo l’infezione. Un dato significativo dal momento che una delle condizioni patologiche che può causare l’alterazione di questo parametro è la tromboembolia polmonare. «L’eparina previene proprio quest’ultima condizione, che invece è favorita dall’infezione da SARS-CoV-2. Ovviamente questo è solo un indizio – puntualizzano i medici – che deve essere confermato da ulteriori studi».
Se a distanza di sei mesi la mancanza di fiato, denunciata nella prima fase della malattia, non è scomparsa come accade nella maggior parte dei casi (69%), e magari è accompagnata anche da tosse, allora è necessario fare degli approfondimenti. «Se le alterazioni riscontrate dalla radiografia del torace sono presenti in coloro che hanno avuto forme gravi di polmonite con ricovero in terapia intensiva, esistono poi dei campanelli di allarme da non sottovalutare – spiegano -. Dal punto di vista respiratorio i due sintomi che più devono destare attenzione sono la mancanza di fiato e la comparsa e persistenza di tosse».
La sindrome chiamata long-Covid è complessa e presenta una serie di sintomi che non si esauriscono nelle complicanze polmonari. Per questo è importante un approccio multidisciplinare come quello attuato nell’ambulatorio post-Covid dell’ASST di Monza, attivo presso la Struttura Complessa di Malattie infettive, riconosciuto dall’Istituto Superiore di Sanità, dove specialisti appartenenti a branche differenti si coordinano per trovare una soluzione ad un problema clinico multiforme.
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