Le varianti minacciano il ritorno alla normalità, nonostante i vaccini. L’obiettivo? «Evitare la DAD immunizzando gli adolescenti»
Le scuole hanno da poco chiuso i battenti dopo l’anno più duro: ci rivediamo a settembre. Già, ma come? Tra i banchi o da dietro uno schermo? Sembra di essere incastrati in un brutto déjà vu, perché gli interrogativi sono gli stessi della scorsa estate, ma oggi, a differenza di allora, abbiamo due certezze in più che suonano un po’ come la buona notizia e quella cattiva: la cattiva è che ormai abbiamo imparato che il Sars-Cov-2 è un virus stagionale, e quindi in autunno tornerà a farsi sentire; la buona notizia è che i vaccini funzionano, e buona parte della popolazione è già immunizzata.
L’incognita maggiore adesso è rappresentata dalla variante Delta: è lei, o altre nuove varianti che potrebbero essere rintracciate nelle prossime settimane, a minacciare in concreto una ripresa scolastica “normale”, perché altamente contagiosa e in parte elusiva della copertura vaccinale.
La posta in gioco è altissima: ricadere nello stesso vortice dello scorso anno con la didattica a distanza a farla da padrona, nonostante la campagna vaccinale stia andando avanti ormai da sei mesi, sarebbe una sconfitta troppo pesante.
Mentre qualcuno vocifera di un rientro in presenza solo per i vaccinati e la Dad per tutti gli altri, abbiamo raccolto i pareri della Società Italiana di Pediatri (SIP) e della Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) su quali scenari potremmo realisticamente aspettarci a settembre.
«Rispondere a questa domanda al momento non è semplice – osserva Annamaria Staiano, presidente SIP -. Nel caso in cui le coperture vaccinali, sia per gli studenti che per il personale docente, non dovessero risultare adeguate, la riprese delle attività scolastiche in presenza potrà essere effettivamente minacciata. La vaccinazione rappresenta attualmente l’unico mezzo che abbiamo per ritornare rapidamente alla normalità, ma cosa si potrà fare lo potremo sapere solo nei prossimi mesi».
«Abbiamo toccato con mano quanto danno abbia fatto la DAD nei confronti di bambini e adolescenti – afferma Antonio D’Avino, vicepresidente FIMP -. Credo che si tratti di uno strumento “estremo” da considerare solo in caso di scenari epidemiologici altrettanto estremi. Oggi, a due mesi dalla riapertura delle scuole, è doveroso anche da un punto di vista etico fare di tutto perché le scuole ripartano in presenza».
«Fondamentale sarà aumentare la percentuale di ragazzi vaccinati – aggiunge D’Avino -. Fino ad ora gli hub vaccinali sono stati funzionali allo scopo di immunizzare le grandi masse. Ora il discorso si fa più capillare, ed il ruolo del pediatra di famiglia e del medico di medicina generale diventa essenziale per portare a compimento la campagna sul territorio, convincendo i reticenti e vaccinando i proprio assistiti, nel nostro caso i ragazzi dai 12 ai 16 anni. Soprattutto se, come si paventa, ci sarà bisogno delle terze dosi».
Un eventuale criterio per il rientro in presenza potrebbe essere la valutazione del livello di immunizzazione dei congiunti, ma entrambe le sigle tendono ad escludere questa opzione. «In linea teorica potrebbe anche essere uno dei criteri – sostiene D’Avino – ma a livello pratico e organizzativo sarebbe quasi impossibile da attuare. Le classi verrebbero stravolte e ci sarebbero vari nodi da sciogliere a fronte di troppe incognite. L’unica strada percorribile ad oggi è vaccinare il più possibile adulti e over 12, convincendo chi è ancora reticente».
Così Staiano: «L’immunizzazione dei congiunti, da sola, non garantisce un adeguato grado di sicurezza tra soggetti non immunizzati. Quello che può essere più plausibile è un rientro “in presenza” mantenendo l’uso delle mascherine e del distanziamento sociale, eventualmente riducendo il numero di soggetti presenti nelle classi. Si potrebbe anche pensare a degli screening periodici, tuttavia la situazione dovrà essere valutata attentamente nei prossimi mesi anche sulla base dell’evoluzione dei dati epidemiologici».
Un’altra incognita, forse la più spinosa, è come si procederà per i bambini al di sotto dei 12 anni, anche in virtù del fatto che in questa fascia d’età la malattia tende a presentarsi in maniera asintomatica o paucisintomatica nella stragrande maggioranza dei casi. «Le sperimentazioni nei soggetti di età compresa tra i 6 mesi e gli 11 anni sono già in corso per alcuni dei vaccini già approvati per i soggetti più grandi – commenta Staiano -. Questi studi ci consentiranno di ottenere dati circa la sicurezza e l’efficacia della vaccinazione. Tuttavia – conclude la presidente SIP – prima di poter esprimere un parere circa l’indicazione al vaccino in questi soggetti andrà valutato con attenzione il rapporto rischi/benefici nella specifica fascia di età».
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