La senatrice dell’Udc spiega quale dovrebbe essere, dal suo punto di vista, uno dei perni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per quanto riguarda l’ambito della salute
«Spostare l’asse dalla medicina ospedaliera ad altissima tecnologia a quella territoriale». È questo, secondo la senatrice Paola Binetti (Udc), uno dei punti chiave del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per quanto riguarda l’ambito della salute. Per ottenere questo risultato, ovvero «valorizzare la medicina del territorio», è necessario «investire molto sulle figure» che, per l’appunto, operano sul territorio, ovvero medici di Medicina generale e gli specializzati in Medicina di comunità e cure primarie. La Senatrice ne ha parlato nel corso del convegno, organizzato insieme alla collega del Movimento 5 Stelle Mariolina Castellone, “Quale formazione per il medico delle cure primarie alla luce delle indicazioni fornite dal Pnrr?”.
Secondo la Senatrice la figura del medico di Medicina generale va potenziata in quanto «non sempre questi professionisti sono stati in grado di gestire né la patologia né i malati durante la pandemia. Noi vorremmo avere un Mmg con competenze cliniche più avanzate e con una maggiore disponibilità, che io chiamo “attitudine al rischio”, a farsi carico per davvero dei malati».
D’altra parte, esiste un tipo di specializzazione che «garantisce un livello di competenza clinica particolarmente elevato», ovvero la specializzazione in medicina di comunità e cure primarie, che «licenzia e specializza giovani medici che non possono lavorare sul territorio nonostante le competenze acquisite».
La Senatrice spiega che si tratta di «professionisti che possono dirigere realtà come un hospice o le case della salute, quando queste ci saranno, ma non possono lavorare sul territorio. Uno dei nostri obiettivi oggi è quello di evidenziare questa distorsione del sistema, valorizzare la figura di questi professionisti e cercare di ottenere che si stabilisca una sinergia collaborativa tra di loro e i medici di base. Il tutto, ovviamente, a vantaggio del paziente». L’obiettivo dell’incontro che si è tenuto al Senato era appunto quello di «supportare il cambiamento organizzativo previsto dal PNRR, con un cambiamento formativo per lo più a carico delle Università. E quindi rendere le stesse più consapevoli di questa nuova missione, che è l’attenzione al territorio».
Cosa fare però per non sprecare le risorse del PNRR? Cosa fare, insomma, per evitare che un giovane medico si formi in Italia durante il percorso di laurea e di specializzazione e poi vada a lavorare in un altro Paese, facendo sostanzialmente perdere allo Stato italiano le risorse usate per la sua formazione? «Noi dovremmo riuscire a creare una sinergia tra tre numeri: il numero di studenti che si iscrivono alla facoltà di Medicina, e sappiamo che in genere il 98% dei ragazzi che si iscrivono a questa facoltà si laurea; il numero di borse per le scuole di specializzazione che deve corrispondere al numero degli studenti che si sono iscritti, perché uno studente in medicina senza specializzazione non può entrare nel servizio pubblico; infine – conclude Binetti –, bisogna stabilire il fabbisogno reale sul territorio di medici, in modo tale da non creare quelle situazioni in cui diciamo “mancano i medici”. I camici bianchi che ci sono possono davvero essere assunti dal sistema e quindi lavorare nella piena dignità delle loro funzioni».
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