Con l’esplosione della pandemia l’Italia non è più in linea con l’obiettivo OMS di eradicare l’Epatite C entro il 2030. Il Segretario AISF: «Urgente rilanciare vaccini, screening e trattamenti»
Sono affetti da una patologia ma non lo sanno. Una condizione che, considerando le sole infezioni da Epatite C in Italia, riguarda tra le 250 e le 300mila persone. Si tratta dei cosiddetti pazienti sommersi che non hanno mai ricevuto una diagnosi e che, probabilmente, la riceveranno solo quando la malattia sarà in uno stadio molto avanzato. Ed è a questi pazienti “inconsapevoli” che è dedicata la Giornata delle Epatiti 2021 che si celebra ogni anno, in tutto il mondo, il 28 luglio.
L’attenzione dei clinici è rivolta non solo alle Epatiti C, ma anche alle B, quelle dagli effetti più gravi, talvolta letali. Sono considerate una minaccia per la salute pubblica, in quanto se cronicizzano, provocano complicanze nel tempo anche fatali come la cirrosi e il tumore epatico. Tuttavia, l’Epatite B può essere prevenuta con il vaccino, mentre l’Epatite C si può curare con farmaci efficaci e risolutivi, tanto che l’OMS aveva fissato l’obiettivo della sua eliminazione entro il 2030, un risultato reso raggiungibile grazie ai nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA), che permettono di eradicare il virus in maniera definitiva, in tempi rapidi e senza effetti collaterali.
Purtroppo anche il trattamento dell’Epatite C e le campagne vaccinali per l’epatite B hanno subito le conseguenze dell’emergenza da Covid-19. «Durante la prima andata il 65% dei centri di cura non è stato in grado di garantire l’accesso ai pazienti, percentuale che è via via migliorata – commenta Alessio Aghemo, Segretario AISF (Associazione italiana studio del fegato) -. Attualmente, c’è ancora un 30% non completamente operativo. Per questo, è necessario che ci si impegni, sin da ora, ad una vera ripartenza. In questo anno e mezzo vi è stata una diminuzione significativa sia delle diagnosi che dei pazienti trattati – sottolinea lo specialista -. Solo a maggio 2021 la situazione è migliorata, sebbene l’accesso alle strutture sanitarie sia ancora limitato e incomba il rischio di una nuova emergenza».
A causa di questo rallentamento nei trattamenti di eradicazione dell’Epatite C, l’Italia non è più in linea con l’obiettivo dell’OMS, «che – sottolinea il professore – si sarebbe potuto perseguire solo con il trattamento di 30-45mila pazienti l’anno, un ritmo di marcia ampiamente disatteso. Gli effetti sul lungo periodo rischiano di essere particolarmente negativi: gli studi realizzati da AISF sull’impatto della pandemia a livello mondiale prevedono un notevole incremento di morti, da qui a venti anni, a causa di mancate diagnosi e controlli. Sebbene l’Epatite C abbia una lenta progressione, le sue conseguenze possono essere letali».
È, dunque, evidente la flessione dei trattamenti dell’epatite C, che mette in discussione la possibilità di conseguire l’obiettivo dell’eliminazione della malattia fissato dall’OMS per il 2030. «Ma riprendendo a pieno ritmo e riprogrammando le attività, così da recuperare il tempo perso, raggiungere l’obiettivo del 2030 è ancora possibile», assicura il Segretario AISF.
Di contro, l’esame delle notifiche pervenute al SEIEVA (il Sistema Epidemiologico Integrato delle Epatiti Virali Acute, coordinato dall’ISS) nel 2020 mostra che il numero di casi notificati di epatite virale è in netta flessione a partire da marzo 2020 rispetto agli anni precedenti. Molto probabilmente le misure di contenimento adottate per la pandemia hanno contribuito a diminuire anche il rischio di contrarre altre malattie infettive, tra cui l’epatite, sebbene sia indubbio anche che l’interesse massimo sulla pandemia possa aver ridotto l’attenzione su altre patologie per diagnostica e conseguente notifica. «Proprio questi dati – spiega Aghemo – devono spingere a non perdere l’attenzione sulle epatiti, per le quali esistono forme di prevenzione e di trattamento molto efficaci. Anche se non sono ancora disponibili dati completi riguardanti questi due ultimi anni, è verosimile che ci sia stata anche una flessione delle vaccinazioni anti HBV e che – conclude – sia quindi necessario recuperare pure le mancate vaccinazioni».
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