Il direttore del servizio di immunoematologia dell’IRCCS pavese ricorda il collega De Donno: «Era una brava persona, molto volenterosa, di quelli che gettano il cuore oltre l’ostacolo, ma non strumentalizziamo la sua morte. Il plasma non c’entra»
La morte del professor Giuseppe De Donno, ex primario di pneumologia del Carlo Poma di Mantova, sulla quale sta indagando la procura, ha riacceso i riflettori sulla terapia del plasma iperimmune come cura contro il Covid-19. Per saperne di più siamo andati a vedere se e come viene utilizzato oggi il plasma per la cura dei pazienti Covid al San Matteo di Pavia dal professor Cesare Perotti, direttore del servizio di immunoematologia che, insieme a De Donno, è stato tra gli artefici della terapia del plasma nella prima ondata di Covid.
«Non strumentalizziamo la morte di un valido professionista con la terapia che ha permesso di salvare molte vite umane. La terapia del plasma ha funzionato ed è ancora oggi una delle più efficaci terapie contro il Covid. La morte di De Donno non ha nulla a che vedere con la terapia del plasma».
«Io ho lavorato con il buon De Donno, ci siamo sentiti più volte al telefono soprattutto nella prima ondata, abbiamo scambiato messaggi ed e-mail per questioni lavorative. Se mi posso permettere un ricordo, era una brava persona, molto volenterosa, di quelli che gettano il cuore oltre l’ostacolo».
«Questo è il mio giudizio personale: era un generoso, un professionista che ha davvero lavorato, al contrario di tante persone che hanno parlato e non hanno agito. Lui si è messo in prima linea con grande forza e volontà, magari con un po’ di ingenuità, ma è uno di quelli che in modo laborioso ed onesto ha dato il meglio di sé stesso. Poi è stato triturato dai media. Ora la vicenda verrà strumentalizzata, ma mi creda il plasma non c’entra nulla».
«Al momento la terapia è sospesa perché la situazione è sotto controllo. Quindi abbiamo cessato l’attività di raccolta e infusione a fine maggio. Non c’era più necessità».
«Le persone che oggi arrivano in ospedale sono in condizioni diverse rispetto alla prima e alla seconda ondata».
«Diciamo che abbiamo imparato la lezione, sappiamo come affrontare il Covid e poi abbiamo un tesoretto di più di 200 sacche di plasma pronte per essere utilizzate se ce ne fosse bisogno».
«La variante Delta è più contagiosa perché si annida nelle alte vie respiratorie e quindi è più facile la trasmissione, ma a livello clinico è meno potente».
«Non è cambiato nulla rispetto a prima: sorveglianza e cortisone e anche per i pochi che arrivano in rianimazione l’approccio terapeutico è lo stesso, ma per quanto riguarda il plasma (ne parlavo nei giorni scorsi in commissione europea), posso dire che abbiamo imparato due lezioni importanti».
«Il plasma funziona eccome, ma con due presupposti: che contenga un elevato titolo anticorpale e che sia dato precocemente. Ma non è tutto, perché fino a qui il principio potrebbe valere per qualunque terapia. La vera novità sta nello scegliere il plasma giusto».
«Casomai ci fosse una ripresa della pandemia, dovremmo disporre di plasma iperimmune locale, ossia degli anticorpi dei convalescenti della zona perché chi guarisce ha sviluppato gli anticorpi giusti per il virus che ha colpito in quel luogo e in quella variante. Negli Stati Uniti stanno facendo studi che dimostrano che l’impiego di plasma proveniente da 2.000 o 3.000 chilometri di distanza dalla zona di residenza del malato non ha la stessa efficacia del plasma raccolto sul territorio perché l’anticorpo specifico prodotto in quel luogo è quello che serve».
«Esattamente, come riferimento possiamo tenere la regione. Nella prima ondata sono arrivate da noi persone provenienti da Bolzano o Trento che non dimenticherò mai, ma allora eravamo in una situazione di emergenza. Poi con la seconda e terza ondata le varianti si sono diversificate. Non solo, se oggi l’infezione dovesse riprendere, sarei prudente nell’utilizzare il plasma iperimmune raccolto nello scorso mese di marzo, aprile o maggio. Prima lo testerei per capire se funziona contro la variante Delta, dopodiché mi metterei a raccogliere il plasma dei convalescenti delle nuove varianti».
«L’Italia purtroppo è divisa tra guelfi e ghibellini… C’è tanta gente che ha sempre dato contro perché il plasma costringe a lavorare e tanto, mentre c’è chi non ha voglia o non è capace di fare. Il plasma può non funzionare se mancano determinati parametri: se si raccoglie male o se non ha carica anticorpale. Invece funziona bene se si rispettano le condizioni che le ho detto: livello di anticorpi, zona di provenienza e arco temporale. L’onestà intellettuale significa anche capire e analizzare i dati».
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