Al via il Convegno internazionale di suicidologia e salute pubblica. Il presidente Pompili: «Attenzione ai campanelli di allarme. C’è chi si libera improvvisamente di tutti i suoi beni, chi fa testamento pur essendo in buona salute, chi esce inspiegabilmente da una depressione profonda»
Lo chiamano gesto estremo perché chi lo compie vorrebbe che fosse l’ultimo della sua vita. Un’azione che, ogni anno, in Italia, spinge alla morte quattro mila persone. «Tre volte su quattro sono gli uomini a scegliere di togliersi la vita – dice Maurizio Pompili, professore ordinario di psichiatria e presidente del Convegno internazionale di suicidologia e salute pubblica “Creare speranza attraverso l’azione”. Il Congresso annuale, inaugurato oggi in occasione della Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio che ricorre il 10 settembre di ogni anno, si concluderà il 18 settembre 2021. L’evento rappresenta una cassa di risonanza per accrescere la consapevolezza sul tema del suicidio e promuovere misure di prevenzione su scala globale.
Nel mondo, i morti per suicidio sono 800 mila, vale a dire uno ogni 40 secondi. A questi vanno aggiunti coloro che sopravvivono al tentativo di togliersi la vita: «Ad oggi non esiste un registro nazionale dei tentati suicidio, per cui non è possibile definirne la cifra esatta. Tuttavia – sottolinea lo psichiatra -, secondo alcune stime, ad ogni suicidio corrisponderebbero circa dieci tentativi».
Ma c’è di più: se i suicidi si registrano maggiormente tra il sesso maschile, i tentativi sembrano essere prevalenti tra le donne. «Siamo di fronte ad un fenomeno che in letteratura viene definito paradosso di genere, privo di una spiegazione esaustiva. Secondo la tesi più accreditata – spiega il professore – le donne sopravvivrebbero più degli uomini al tentativo di suicidio perché maggiormente inclini ad utilizzare metodi a minor rischio di morte. Ad aggravare il paradosso c’è un’ulteriore constatazione: sembrerebbe che queste stesse metodiche se utilizzate dal sesso maschile porterebbero ad un effettivo suicidio in un numero di casi molto più elevato».
All’Italia non spetta il primato mondiale per numero di suicidi, ma nemmeno il podio di Paese più felice del globo. «Il Belpaese si colloca in una fascia medio bassa rispetto al resto del mondo. Tra i Paesi con il maggior numero di suicidi – dice Pompili – ci sono l’Estonia, la Lituania, i paesi dell’Europa del Nord e la Cina. In particolare, l’estremo Oriente detiene il primato di suicidi tra il gentil sesso». L’America latina, almeno stando al numero di suicidi, potrebbe essere definito il luogo più felice al mondo. «Tuttavia non esistono Paesi suicide free: casi di suicidio, più o meno numerosi, si verificano ovunque».
Il suicidio è un fenomeno multifattoriale e complesso. «Nel tempo si sono susseguiti diversi tentativi di associazione causa-effetto. Ad esempio l’alto tasso di suicidi nei Paesi del Nord è stato collegato ad una estrema scarsità di luce naturale. Così come nei Paesi dell’ex Unione Sovietica la colpa è comunemente attribuita alla situazione socio-politica». Anche la presenza di patologie psichiatriche può rappresentare un ulteriore fattore di rischio, «ma che – sottolinea l’esperto – da solo non basta ad indurre al suicidio. Ogni individuo ha la sua storia, un insieme di relazioni, esperienze che, negli anni, hanno dato vita alla sua personalità, tormenti compresi».
È necessario che chiunque presenti dei tratti o delle caratteristiche definibili a rischio sia tenuto sotto stretto controllo medico. «La terapia con i sali di litio è fortemente utilizzata per stabilizzare l’umore. Spesso, i pazienti che hanno tentato il suicidio soffrono di irritabilità, ansia, insonnia. Disturbi che compromettono seriamente la qualità della vita. Per questo, puntiamo sempre a migliorare innanzitutto i sintomi che destabilizzano la quotidianità dei pazienti».
Attenzione non solo ai sintomi, ma anche ai campanelli di allarme. «Una persona che improvvisamente si libera di tutti i suoi beni, che fa testamento pur essendo il buona salute; un’altra che esce inspiegabilmente da una depressione profonda e sembra aver risolto, di punto in bianco, ogni suo problema. Sono questi i soggetti a cui prestare una particolare attenzione, poiché il loro atteggiamento potrebbe essere dettato da un’intenzione chiara e predefinita di togliersi la vita. E ancora più allarmante è sentire qualcuno che dice queste parole: non voglio più esistere, a che serve vivere, che senso ha tutto questo. Chi le pronuncia – conclude il docente – è difficile che ne sottovaluti il significato».
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