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L’Alzheimer ereditario interessa meno dell’1% dei casi. La Ricerca italiana si focalizza su terapia e diagnosi precoce
Il 21 settembre 2021 ricorrerà la Giornata Mondiale dell’Alzheimer, una patologia neurodegenerativa che si manifesta soprattutto dopo i 65 anni e coinvolge più di 600.000 persone in Italia. È una malattia cronica e progressiva per cui non esiste ancora una cura. Il processo degenerativo provoca la morte delle cellule nervose in determinate aree del cervello, causando un deterioramento delle funzioni cognitive (memoria, ragionamento, linguaggio). La ricerca italiana lavora per dare risposte e speranze a circa tre milioni di persone tra pazienti, familiari e caregiver.
«Le cause scatenanti non si conoscono – dichiara Antonio Guaita, geriatra e direttore della Fondazione Golgi Cenci al nostro giornale -. La causa prossima è la morte di neuroni che prima si sono impoveriti di sinapsi e poi sono degenerati. Non sappiamo perché i neuroni degenerano – prosegue – l’ipotesi fondata è il ruolo rilevante di un accumulo proteico costituito da beta amiloide». Siamo tutti, più o meno, a rischio: «È una patologia che aumenta con l’età, il rischio cresce con l’invecchiamento. Massima attenzione «per chi non ha studiato o non è andato a scuola, ha fatto un lavoro insoddisfacente, è ingrassato in età adulta per la dieta ricca di grassi animali e di zuccheri semplici, ha avuto la pressione alta e il diabete, magari con qualche disturbo del sonno e una tendenza alla depressione. Sono a rischio anche le persone che in vecchiaia hanno avuto una riduzione dell’attività sia fisica che mentale e non hanno controbilanciato con l’impiego appropriato del tempo libero, anzi hanno ridotto le occasioni sociali e di interazioni con gli altri. Eliminare i fattori di rischio evitabili riduce del 50% la probabilità di sviluppare la malattia».
Esiste una forma trasmissibile, ereditaria che «interessa meno dell’1% dei casi e riguarda famiglie ormai tutte conosciute – precisa il medico -. Le forme sporadiche riconoscono nella presenza di malattia di Alzheimer, specie sulla linea materna, un aumento del rischio. Si tratta di un fattore di rischio, quindi, e non causale». Nella maggioranza dei casi non c’è un’origine genetica: avere nella propria famiglia alcuni malati di Alzheimer non significa essere destinati ad ammalarsi.
Quali sono le prime manifestazioni che, se riconosciuti per tempo, possono portare a una diagnosi precoce d’Alzheimer? Il dottor Guaita chiarisce i campanelli d’allarme a cui prestare attenzione:
Uno dei segni più comuni della malattia di Alzheimer, soprattutto nella fase iniziale, è dimenticare le informazioni apprese di recente. Altri includono dimenticare date o eventi importanti, porre la stessa domanda più e più volte, o avere sempre più bisogno di fare affidamento su aiuti per la memoria (ad esempio, note di promemoria o dispositivi elettronici) o membri della famiglia per cose che la persona era solita gestire da sola.
Alcune persone affette da demenza possono sperimentare cambiamenti nella loro capacità di sviluppare e seguire un piano o di trattare i numeri come seguire una ricetta familiare o a tenere traccia delle bollette mensili. Possono avere difficoltà a concentrarsi e impiegare molto più tempo a fare le cose rispetto a prima.
Le persone che convivono con la malattia di Alzheimer spesso hanno difficoltà a completare le attività di routine, possono avere problemi a guidare verso un luogo familiare, organizzare una lista della spesa o ricordare le regole di un gioco preferito.
Spesso perdono la cognizione delle date, delle stagioni e del passare del tempo. A volte possono dimenticare dove si trovano o come ci sono arrivati.
Per alcune persone, particolari problemi di vista sono un segno di Alzheimer come giudicare la distanza e determinare il colore o il contrasto.
Spesso non riescono a seguire o a partecipare a una conversazione. Potrebbero fermarsi nel bel mezzo di una conversazione e non avere idea di come continuare o ripetersi. Possono avere difficoltà con il vocabolario, avere problemi a nominare un oggetto familiare o usare il nome sbagliato.
Possono perdere le cose e non essere in grado di ricostruire i propri passi per ritrovarle, accusare gli altri di aver rubato, soprattutto con il progredire della malattia.
Gli individui possono sperimentare cambiamenti nel formulare un giudizio o nel processo decisionale quando hanno a che fare con il denaro. Spesso prestano meno attenzione alla cura o alla pulizia.
A volte si ritirano da hobby, attività sociali o altri impegni perché hanno problemi a stare al passo con una squadra o un’attività preferita.
Possono essere facilmente turbati a casa, al lavoro, con gli amici o quando sono fuori dalla loro zona di comfort.
«Nelle fasi precoci non serve aiutarlo troppo, sostituirsi a lui – sottolinea il medico -. Nelle fasi intermedie, di fronte agli errori e alle difficoltà intervenire per “correggere” e non per “aiutare”. Non bisogna richiedere al malato ciò che non può più dare, provocandogli stress. Spesso i disturbi del comportamento non sono solo espressione della malattia ma sono un linguaggio con cui il malato esprime un disagio e prima di tutto bisogna cercare di capirne l’origine». È consigliabile «non confondere il malato con eccesso di informazioni – aggiunge – evitare affollamento e velocità, meglio parlare lentamente che gridare. Non usare televisione e/o musica come baby-sitter nelle fasi più gravi. Favorire calma e tranquillità. non richiedere funzioni che sono andate perdute per sempre» conclude il dottor Guaita.
Ad oggi non esiste ancora una terapia per prevenire o guarire l’Alzheimer. I farmaci disponibili migliorano i sintomi e ne rallentano la progressione. Tra gli argomenti promossi dall’Associazione Italiana Ricerca Alzheimer (Airalzh) c’è anche l’approccio multidimensionale e multidisciplinare. «La ricerca continua in due direzioni – sintetizza il Prof. Alessandro Padovani, socio fondatore e membro del Consiglio Direttivo di Airalzh – la terapia e i farmaci per contrastarla e l’importanza della diagnosi precoce». «Per prevenire la malattia di Alzheimer – ribadisce l’Airalzh – è bene seguire stili di vita e abitudini salutari, alimentari e sociali, che possono ritardare la comparsa di sintomi o ridurre il rischio di insorgenza di altre malattie croniche, come quelle cardiovascolari e il diabete di tipo 2. È fondamentale individuare la malattia di Alzheimer nelle sue prime fasi. I sintomi, di solito, compaiono quando il quadro è compromesso e i farmaci ottengono risultati meno favorevoli quando la malattia è già in fase conclamata».
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