Andrea Filippi, Segretario di Fp Cgil Medici, commenta a Sanità Informazione il documento che contiene le proposte delle Regioni per una nuova sanità territoriale: «Vogliamo credere che le Regioni con la dipendenza dei MMG non vogliano controllarli ma solo metterli nelle condizioni di lavorare bene. Ma no a privatizzazione progressiva dei servizi»
È ancora presto per trarre giudizi definitivi, in quanto «ogni intendimento può prendere una strada o il suo opposto», ma il documento delle Regioni potrà rappresentare «un passo in avanti» se, tra le altre cose, non si finirà in una «privatizzazione progressiva dei servizi» e se si farà di tutto per «mettere i professionisti nelle condizioni di lavorare bene», senza cercare invece di controllarli. Andrea Filippi, Segretario di Fp Cgil Medici, commenta a Sanità Informazione le proposte delle Regioni per una nuova sanità territoriale.
«Si tratta certamente di un’iniziativa che potrebbe segnare un passo avanti nella esigenza, ormai inderogabile, di rivedere i rapporti di lavoro nell’ambito complessivo del servizio socio-sanitario nazionale, e che quindi non riguarda soltanto i medici di medicina generale ma complessivamente dovrebbe riguardare tutti i rapporti di lavoro che oggi sono troppo frammentati. Una iniziativa che può farci fare un passo avanti solo se la inseriamo in un perimetro in cui è necessario ridefinire un rapporto di lavoro che sia perlomeno omogeneo su tutto il territorio nazionale e fra diverse professioni, naturalmente nel rispetto di tutte le specificità. La premessa di una iniziativa di questo tipo, che noi comunque apprezziamo negli intenti, deve girare intorno a tutta una serie di presupposti che rendano più facile il lavoro dei professionisti. Uno di questi dovrebbe essere quello di identificare un solo datore di lavoro, che nello specifico del servizio socio-sanitario nazionale dovrebbe essere l’azienda sanitaria locale, la quale non deve controllare i professionisti (che non hanno bisogno di essere controllati) ma deve fornire mezzi, strumenti, possibilità di aggiornamento, tutele e diritti per poter lavorare al meglio a beneficio della cittadinanza. Per questo, la domanda che ci poniamo, in maniera molto laica, è: le Regioni vogliono controllare i professionisti oppure metterli nelle condizioni di lavorare bene? Noi diamo per scontato che sia la seconda ipotesi».
«Noi oggi sappiamo per certo che l’attuale sistema non funziona anche a causa dei rapporti di lavoro. Questo accade nella misura in cui i professionisti sono isolati, nel rapporto di lavoro libero-professionale non sono gestibili, non hanno necessariamente strumenti, attrezzature e luoghi idonei in cui poter lavorare, e soprattutto non possono lavorare di concerto in équipe con altri professionisti. Non è una questione di lana caprina quella del rapporto di lavoro, come molti vogliono far credere e anzi cercano di far passare come discussione d’accademia solo perché non vogliono affrontarla. Si tratta invece di una questione sostanziale per andare nella direzione di un’organizzazione migliore costruita attorno al cittadino. Se vogliamo una riforma dell’assistenza territoriale che vada realmente nella direzione della presa in carico del cittadino noi dobbiamo andare nella direzione in cui i professionisti lavorano per lo stesso datore di lavoro e con lo stesso rapporto lavorativo. È semplicemente una considerazione di buon senso che non può ammettere alcuna contestazione, ed è inevitabile che qualsiasi contestazione ad una prospettiva di questo tipo nasconda interessi altri da quelli dei cittadini».
«La sostanza è che dobbiamo vedere quale direzione prendono queste proposte. Se queste proposte vanno verso la privatizzazione progressiva dei servizi, il giudizio è radicalmente negativo. Se il rapporto di dipendenza lo intendiamo, come mi sembra di aver ascoltato da qualche Regione e da qualche assessore, come rapporto di dipendenza verso strutture private accreditate, per noi il giudizio è assolutamente negativo. Discorso diverso se invece stiamo creando un doppio binario in cui, da un lato, chiunque voglia lavorare per le case di comunità viene messo in rapporto di lavoro di dipendenza con uno specifico datore di lavoro, e dall’altro viene identificata per gli altri una “exit strategy” e questi dovranno organizzarsi per conto loro. In questo caso, però, questa organizzazione deve necessariamente essere fatta con un servizio pubblico e non con accreditamenti di cooperative. Per noi questa scelta sarebbe assolutamente inaccettabile perché sarebbe un modo per far dilagare, non dalla porta ma dalla finestra, i servizi privati».
«Dopo questo documento ci aspettiamo un tavolo sull’assistenza territoriale, che noi intendiamo organizzata attraverso la multiprofessionalità, al quale parteciperanno tutte le organizzazioni sindacali confederali. Ci aspettiamo un tavolo composto dai sindacati che rappresentano tutti gli operatori, e non con la somma dei piccoli o grandi sindacati corporativi. Dovranno esserci quelle organizzazioni che non propongono istanze corporative e divisive ma quelle che hanno, per loro natura, una visione multiprofessionale, e quindi confederale. Auspichiamo anche che alle organizzazioni sindacali confederali venga presentato il PNRR per quanto riguarda la sanità a cui stanno lavorando il Ministero della Salute e l’Agenas. Ci aspettiamo che questo tavolo venga portato avanti fra la Conferenza delle Regioni e il Ministero. A quel punto, ci aspettiamo una presentazione del piano e un tavolo tecnico per discuterne. Il punto è che ogni intendimento può prendere una strada o il suo opposto…».
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