«Incoraggiamo una sinergia tra le Biobanche di ricerca e quelle terapeutiche, affinché il materiale biologico donato a scopi terapeutici, e non utilizzato, possa essere destinato alla ricerca»
Mentre i pronto soccorso di tutta Italia, a partire da quelli della Lombardia, continuavano ad affollarsi di pazienti bisognosi di cure, trattamenti che nessuno al mondo aveva a disposizione, i ricercatori erano già a lavoro per raccogliere, conservare e studiare i campioni biologi di chi aveva contratto il Covid-19. Questo è solo uno degli esempi, tra i più recenti e i più noti, del lavoro che si svolge quotidianamente all’interno delle Biobanche.
«Oggi, grazie all’istituzione delle Biobanche, è possibile condurre degli studi scientifici che coinvolgano un numero importante di pazienti o cittadini», spiega Marialuisa Lavitrano, direttore del Nodo Nazionale della Infrastruttura di Ricerca Europea delle Biobanche e delle Risorse BioMolecolari (BBMRI Italia). Parlare di cittadini e non solo di pazienti, infatti, è d’obbligo: non tutti coloro che conferiscono i propri campioni biologici alle Biobanche sono affetti da una o più patologie. «Esistono due tipologie di Biobanche quelle di ricerca e quelle terapeutiche – precisa il direttore Lavitrano -. Le Biobanche di ricerca sono unità di servizio, senza scopo di lucro, che raccolgono, conservano e distribuiscono campioni biologi umani, come tessuti, sangue o altro. Se tali campioni biologici appartengono ad un paziente che soffre di una particolare malattia, allora saranno custoditi in una disease-oriented Biobank (biobanca di malattia ad es. biobanca oncologica o neurologica). Le Biobanche di popolazione, invece, raccolgono campioni appartenenti alla popolazione generale o a popolazioni specifiche come, ad esempio, quella molisana che sta studiano i residenti di una precisa zona del Molise, o quella del Cilento o di un’area della Sardegna dove vivono persone caratterizzate da una longevità superiore alla media. In questo caso si tratta di ricerche che si protraggono per molti anni, anche decenni, e con studi epidemiologici o malattie complesse, multifattoriali (come quelle cardiovascolari) o la genetica di alcune precise fasce di popolazione (come, appunto, quella sarda spiccatamente longeva)».
Un’altra precisazione è necessaria: «Quando si parla di Biobanche di ricerca utilizzare il termine “donare” è improprio. I campioni biologici non sono mai “donati”, bensì “conferiti” – dice la specialista -. Mentre la donazione non permette al soggetto di ritornare in possesso del campione donato, nel caso del “conferimento” il paziente (o il cittadino) che ha conferito un suo campione biologico ad una Biobanca di ricerca potrà sempre avvalersi, in qualsiasi momento, del diritto di recesso».
Il funzionamento delle Biobanche di ricerca assicura standard di qualità europei (per quelle aderenti alla BBMRI) e garantisce anche la tutela della privacy. «Il ricercatore riceve i campioni biologici e i dati ad esso associati in forma anonima, ovvero non saprà mai a chi appartiene il campione che sta utilizzando per la sua ricerca – spiega Lavitrano -. Al momento del conferimento, infatti, a cittadini e pazienti sono garantiti i diritti della privacy. Tuttavia, per permette di ritracciare la persona a cui appartiene un determinato campione biologico, qualora importanti ricerche scientifiche possano essere di beneficio alla cura della sua stessa patologia, si mette in atto un sistema di pseudonimizzazione: il ricercatore non conosce i dati sensibili del soggetto cui appartiene il campione biologico analizzato, ma l’individuo sarà identificabile, in qualsiasi momento, attraverso la decriptazione di un codice associato al momento della conservazione».
Il valore aggiunto che le Biobanche hanno offerto alla ricerca, sia prima che durante la pandemia, sono inestimabili, «soprattutto dall’istituzione della BBMRI che permette di raccogliere e mettere a disposizione della ricerca campioni biologici raccolti da una popolazione residente in 20 diversi Paesi», assicura Lavitrano. Ma i contributi che sarà possibile offrire in futuro sono di altrettanto valore: «Stiamo esplorando la possibilità di instaurare una sinergia tra le Biobanche di ricerca e quelle terapeutiche. In particolare, per permettere che il materiale biologico donato a scopi terapeutici, e non più utilizzato, possa essere utile perla ricerca. Aumentare il numero di campioni significa allargare l’universo di riferimento degli studi scientifici e di conseguenza – conclude la ricercatrice – la loro significatività per studi epidemiologici o di malattie complesse».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato