L’autore del libro “Particelle cadaveriche – le infezioni ospedaliere uccidono”: «Siamo immersi in una pandemia microbica all’interno degli ospedali, la politica non può restare sorda a tutta questa sofferenza»
Le ICA, acronimo di Infezioni Correlate all’Assistenza, sono una piaga che sta dilagando in maniera silente, e che incide in modo massiccio sulla sanità nazionale e globale: aumento della mortalità e delle disabilità, degenze prolungate, oneri finanziari aggiuntivi a carico dei pazienti e del sistema sanitario, oltre ad essere direttamente implicate in quel pericoloso fenomeno dell’antimicrobico-resistenza.
Proprio nei giorni scorsi, a Napoli, è stato presentato il libro “Particelle cadaveriche – le infezioni ospedaliere uccidono”, un importante studio di ricerca effettuato dall’avvocato Raffaele Di Monda e Pasquale Bacco, con la collaborazione del dottor Giustino Parruti, direttore UOC Malattie Infettive dell’Ospedale di Pescara, frutto di anni di ricerche e di esperienze professionali sul tema.
Un tema, come spiegato nel libro, storicamente ritenuto “scomodo”, a cominciare dall’ostracismo e dalla successiva damnatio memoriae intorno al medico austriaco Sommelweiss che, nell’Ottocento, stabilì la prima correlazione tra le morti materne per febbri puerperali e l’utilizzo di strumentazioni infette da “particelle cadaveriche”, perché già usate per le autopsie, nei reparti di Ostetricia del principale ospedale di Vienna. Tornando ai giorni nostri, ecco cosa ha raccontato a Sanità Informazione l’autore Raffaele Di Monda.
«É assolutamente necessario che le ICA entrino del dibattito pubblico – afferma – perché la classe politica deve prendere una posizione netta sul tema. Nella mia professione sono entrato in contatto con i congiunti delle vittime di ICA, e le loro storie sono riportate nel libro come casi di studio. É un tema – continua – attorno a cui ruota una enorme sofferenza e sete di giustizia e verità. Ho sentito l’esigenza di contribuire a sensibilizzare quante più persone possibile su questa tematica, perché riguarda ognuno di noi nella misura in cui ognuno di noi ha il diritto di essere curato in sicurezza. C’è un disegno di legge presentato alla Camera bloccato dal 2020 – precisa Di Monda -. Speriamo di costituire quel pungolo necessario affinché i decisori politici affrontino il problema, chiarendo ruoli, obblighi e responsabilità».
«Come è spiegato nel libro, la maggior parte delle infezioni correlate all’assistenza si riferiscono a batteri antibioticoresistenti. Abbiamo raccolto dati a livello mondiale – prosegue l’autore – e solo in Italia si parla di 49mila morti nel 2016 per ICA, il 30% di tutta Europa. Nel 2003 erano 18mila, quindi è chiaro che il dato ha una crescita esponenziale. Nel 50% dei casi si tratta di infezioni prevenibili. Siamo da anni all’interno di una pandemia sistemica all’interno delle strutture ospedaliere, che impatta sulla vita economica e sociale del Paese, che si consuma nel colpevole silenzio dei media e della politica».
«Ci sono attualmente batteri, tipici delle ICA, che nessun antibiotico è in grado di debellare efficacemente, e in futuro ce ne saranno sempre di più. In Europa, le infezioni ospedaliere comportano ogni anno 16 milioni di giornate aggiuntive di degenza; i soli costi diretti per la sanità sono approssimativamente calcolati in 7 miliardi di euro. Non è mai stata condotta una valutazione dei costi a carico dei pazienti e delle loro famiglie, né si parla di quelli che sono gli esiti post-infezione».
«Ho seguito personalmente – sottolinea Di Monda – il caso di un paziente che, a seguito di un’infezione ICA, ha dovuto subire l’amputazione dell’arto. Al di là del libro, il nostro lavoro di sensibilizzazione sul tema prevede l’apertura di punti d’ascolto e di formazione rivolta alla cittadinanza».
«Di fatto nulla, perché tutte le procedure anti-Covid sono quelle stabilite dalle linee guida contro le ICA. Semplicemente – osserva – si è fatto uno sforzo in più nel rispettarle, e oggi nella maggior parte delle strutture le norme applicate nei reparti Covid sono applicate anche in quelli di degenza ordinaria. Ma abbiamo visto che questo sforzo è stato molto più facile ed efficace in quei paesi in cui c’era già una cultura ospedaliera di prevenzione delle infezioni, come in Germania, dove l’uso dei DPI, delle procedure, del rispetto degli spazi, nelle strutture è prassi».
«Non dimentichiamoci che in Italia il primo focolaio è scoppiato in un ospedale, dove nessuna norma ICA è stata realmente rispettata in quel frangente. E questo non è colpa dei medici o dei professionisti sanitari– sottolinea l’autore – ma della politica che non ha mai ritenuto questo aspetto rilevante come invece è. Perché sicuramente il medico che non si lava le mani, o che con gli zoccoli della sala operatoria va a prendere il caffè e poi rientra in sala, è un caso isolato, spero inesistente, mentre il problema resta strutturale – conclude – e richiede un deciso cambio di passo nella formazione».
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