La presidente del ROI: «Stabilita la modalità di equipollenza dei titoli ogni tassello sarà al suo posto ed anche gli osteopati potranno ambire ad un ruolo nel Sistema sanitario nazionale, contribuendo soprattutto alla gestione dei malati cronici»
«La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del nostro profilo professionale è stata il primo atto che riconosce l’osteopata tra le professioni sanitarie, così come sancito dalla legge 3 del 2018 sul riordino delle professioni sanitarie. Ora, il successivo e fondamentale tassello sarà l’individuazione del percorso formativo». A tracciare la seconda tappa decisiva per gli osteopati italiani, nel percorso intrapreso per il pieno riconoscimento tra le professioni sanitarie, è Paola Sciomachen, presidente del ROI, il Registro degli Osteopati d’Italia.
Questo cammino è esplicitamente indicato nel profilo professionale che, all’articolo 1, definisce l’osteopata come «professionista sanitario in possesso di laurea triennale universitaria abilitante, o titolo equipollente, con successiva iscrizione all’albo professionale», aggiunge Sciomachen.
Anche le modalità per il riconoscimento dell’equipollenza dei titoli sono da definire. Così come specificato nell’articolo 4 sarà necessario un successivo accordo in Stato-regioni per individuare sia i criteri di valutazione dell’esperienza professionale, che quelli per il riconoscimento dell’equipollenza dei titoli di coloro che già esercitano la professione di osteopata.
«Riconoscere all’osteopata la possibilità di effettuare un intervento sanitario diretto nell’ambito della prevenzione è uno tra gli elementi più nuovi per la nostra professione», sottolinea la presidente del ROI.
Mansione esplicitata sempre all’articolo 1: «L’osteopata svolge in via autonoma, o in collaborazione con altre figure sanitarie, interventi di prevenzione e mantenimento della salute attraverso il trattamento osteopatico di disfunzioni somatiche non riconducibili a patologie, nell’ambito dell’apparato muscolo scheletrico», dice la professionista.
Ciò vuol dire che l’osteopata non si occupa solo della persona sana ma anche di soggetti affetti da patologie, con particolare attenzione ai malati cronici. «L’osteopata può contribuire sia al rallentamento del decorso degli effetti secondari di una patologia, sia a contenere o controllarne gli esiti, comprese le manifestazioni dolorose», aggiunge Paola Sciomachen.
All’articolo 2 del profilo professionale sono definite le modalità operative dell’osteopata «che – come si legge – pianifica il trattamento osteopatico e predispone modalità di trattamento selezionando approcci e tecniche osteopatiche esclusivamente manuali, non invasive ed esterne, adeguate al paziente ed al contesto clinico». Nello stesso articolo è specificata anche la necessità di valutare gli esiti del trattamento osteopatico, l’appropriatezza, pianificando il follow-up.
Sarà grazie all’applicazione del profilo professionale, alla definizione del percorso universitario e alle modalità per l’equipollenza dei titoli che anche gli osteopati potranno ambire ad uno specifico ruolo nel SSN, così come auspicato da altri professionisti sanitari attraverso il raggiungimento, nei prossimi cinque anni, degli obiettivi previsti dal PNRR.
«Alcuni osteopati, grazie a diversi progetti di ricerca, operano già in ambito pubblico, soprattutto nei reparti di pediatria. Ma siamo certi che quando ogni tassello sarà completato e la legge 3 del 2018 giunta alla sua piena applicazione (nello specifico per la figura professionale dell’osteopata) sarà enorme il contributo che gli osteopati potranno offrire al Sistema sanitario nazionale, soprattutto – conclude Sciomachen – per la gestione dei malati cronici».
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