La fibrillazione atriale aumenta di 5 volte la possibilità di subire uno stroke ischemico. E ogni secondo di tempo può fare la differenza tra la vita e la morte
L’ictus ischemico è una delle prime tre cause di morte in Italia, ed è la prima causa di invalidità per malattia e di decadimento cognitivo. Ogni anno si contano 250mila casi. Così come per l’infarto del miocardio, la gestione dell’ictus è tempo-dipendente: dalla comparsa dell’attacco ogni secondo brucia 32mila neuroni, questo spiega come ogni secondo può fare la differenza tra la vita e la morte, tra la speranza di recupero e la disabilità permanente.
A pochi giorni dalla giornata mondiale della lotta contro l’ictus che ricorre il 29 ottobre, si è tenuta oggi la conferenza stampa organizzata dall’Associazione per la lotta all’ictus cerebrale (ALICe) dal titolo “Ogni minuto è prezioso” per accendere un faro sull’importanza di un’azione tempestiva che passa soprattutto dal riconoscimento dei primi sintomi e dalla prevenzione.
Andrea Vianello, giornalista e presidente di ALICe, ha ricordato, nel presentare i suoi ospiti, che lui stesso colpito da ictus qualche anno fa ha sperimentato in prima persona l’importanza di un intervento precoce e di una corretta riabilitazione. Nonostante le battaglie per la prevenzione e l’adozione di uno stile di vita corretto che riduca il rischio, nel nostro Paese i casi di ictus sono in aumento, sia perché in aumento il fattore di rischio par excellence, cioè l’età media, sia perché ruota scarsa informazione intorno a un altro “imputato” direttamente coinvolto nell’insorgenza di ictus: la fibrillazione atriale, una patologia cardiaca.
«L’ictus si verifica quando il cervello non riceve più adeguata quantità di sangue e ossigeno necessari alle sue funzioni – spiega Mauro Silvestrini, presidente della Italian Stroke Association (ISA) e Direttore Clinica Neurologica presso Ospedali Riuniti di Ancona -. É legato alla chiusura di un vaso o un’arteria da un embolo o trombo, oppure alla rottura di un’arteria che si traduce in emorragia cerebrale. Il fattore tempo è così importante perché il cervello è l’organo più complesso, sofisticato e delicato, e quello che resiste meno agli insulti. Il cervello non può resistere più di pochi secondi alla mancanza di sangue senza danni, e non si rigenera. Più tempo passa tra l’attacco ischemico e l’inizio della terapia più è alta la probabilità di danni permanenti. Siamo preparati a gestire i fattori di rischio – afferma il neurologo – e conosciamo i modi per mitigarne la pericolosità, tuttavia va migliorata la compliance dei pazienti. La pandemia, poi, ha impattato enormemente riducendo gli accessi e creando ovvi problemi nella gestione dei pazienti in pronto soccorso. Ora per fortuna si sta regolarizzando il tutto».
«Il cervello controlla ogni singola nostra azione attraverso zone deputate – spiega Silvestrini -. Quando c’è un ictus legato a ischemia improvvisamente una funzione del cervello cessa, e in base alla localizzazione abbiamo segni che ci allarmano: difficoltà a parlare e comprendere, difficoltà a muovere parte del viso, perdita di forza a un arto, riduzione della sensibilità, scoordinamento, forte cefalea».
«La cardiologia è molto implicata nelle strategie di prevenzione dell’ictus – afferma Ciro Indolfi, presidente della Società Italiana di Cardiologia (SIC) – perché alcune patologie che partono dal cuore possono portare a sviluppare un attacco ischemico. La causa più frequente di ictus, che ricordiamo è letale nel 30% dei casi, è la fibrillazione atriale, che aumenta di cinque volte il rischio di attacco ischemico, ma anche le stenosi delle carotidi o le anomalie della coagulazione. La fibrillazione atriale – continua Indolfi – colpisce oggi un milione di persone in Italia, quasi 70mila all’anno (che raddoppieranno nel 2050), perlopiù inconsapevoli, perché si tratta di una patologia spesso asintomatica. Intervenire con una terapia anticoagulante, che quindi riduce la possibilità di sviluppare trombi, fa diminuire del 64% il rischio di ictus. Un rapporto sinergico tra cardiologi e neurologi è fondamentale anche nelle stroke unit – conclude – perché la rete per l’infarto ha creato un precedente e ha fatto da apripista per la rete dell’ictus».
«Nella campagna ‘Attenti a quei due’ che ha toccato sei città italiane e raggiunto anche attraverso i social 800mila persone – spiega Nicoletta Reale, past president ALICe – abbiamo messo in relazione disturbi cardiaci e neurologici e ci siamo accorti di quanta poca consapevolezza ci sia ancora nel riconoscere il nesso tra i due fattori. Un’altra nostra battaglia è quella mirata ad aumentare il numero delle stroke unit e a una loro più equa distribuzione sul territorio. Stesso discorso per la riabilitazione, la cui rete deve essere migliorata sul territorio e a livello domiciliare: non è la persona che deve andare in ospedale ma l’ospedale che deve andare dalle persone – conclude – anche per evitare che sempre più pazienti siano costretti a rivolgersi a centri privati».
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