La testimonianza del direttore del reparto di Ginecologia e Ostetricia, Giuseppe Ettore
È la natura che non si ferma e va avanti, incurante di ciò che accade al di fuori di sé, dello scompiglio, delle umane difficoltà. È la forza della natura a dare una doppia chiave di lettura al “piccolo miracolo” del 26 ottobre, compiutosi all’Ospedale Garibaldi di Catania.
In quelle ore l’intera provincia è sconvolta dal nubifragio che si abbatte senza sosta, allagando strade e palazzi, portando via con sé anche vite umane. Pure l’Ospedale Garibaldi comincia ad allagarsi, compreso il reparto Maternità. Ma anche lì, la natura non può fermarsi, non conosce momenti opportuni o inopportuni per esprimersi: sei donne in travaglio, sei bambini che di lì a qualche ora vedranno la luce, devono nascere.
Decisioni da prendere in pochi minuti, evitare rischi, mettere in sicurezza le partorienti e i loro nascituri, aiutarli a venire al mondo e assisterli, nonostante l’emergenza. Questo è quello che ha fatto, con successo, il team diretto dal dottor Giuseppe Ettore, direttore del reparto di Ginecologia e Ostetricia dell’Ospedale Garibaldi di Catania: organizzazione, prontezza, capacità di prendere decisioni rapide sotto stress. E alla base, un rodato lavoro di squadra unito a una grande vocazione professionale: questi gli ingredienti che hanno consentito di “portare la barca in porto”. A Sanità Informazione il dottor Giuseppe Ettore ha raccontato i fatti della sera del 26 ottobre.
«L’inondazione è iniziata nel pomeriggio, a partire dall’ingresso, cioè dal piano 0, ed ha rapidamente coinvolto i piani sottostanti dal -1 al -3. L’area parto e la neonatologia si trovano al piano -2. Si sono allagate due sale operatorie su tre e due sale travaglio, l’acqua saliva dal pavimento ma scendeva anche dal soffitto del piano superiore – spiega il primario -. Il personale ha quindi spostato in un’area ancora indenne sia le donne che avevano appena partorito, insieme ai loro bambini, sia le donne in travaglio. Si è preferito, dopo una breve consultazione, continuare ad assistere facendo finta di nulla, piuttosto che mettere in un’ambulanza le donne e portarle via: considerando che fuori il nubifragio imperversava, le avremmo sottoposte ad un rischio maggiore».
«Molti sono rimasti oltre il turno, abbiamo quindi potuto contare su un gran numero di personale. Alcuni hanno preso le puerpere per trasportarle ai piani superiori non allagati, usando le scale, caricandole in barella o in braccio, perché gli ascensori erano tutti fuori uso. Stessa cosa per altri pazienti appena operati – sottolinea – che sono stati caricati di peso e portati in zone più sicure. Le donne in travaglio invece sono state tranquillizzate e assistite, anche dagli psicologi del reparto, e non sono mai rimaste sole. Il personale è intervenuto immediatamente armato di stracci, scope e palette, per rimettere tutto in sesto. Alla fine, tra il pomeriggio e la notte, tutte le donne hanno partorito spontaneamente. Siamo riusciti a garantire la presenza dei partner in sala travaglio e in sala parto – aggiunge Ettore – cosa che peraltro abbiamo garantito anche in epoca Covid, noi e pochissimi altri reparti in Italia. La mattina dopo è stato espletato un cesareo programmato nella sala operatoria rimasta indenne».
«Io credo che noi medici, nell’esercizio della nostra professione, abbiamo insita nel DNA una capacità di gestione delle emergenze – osserva il primario -. L’intervento chirurgico è in sé una situazione di urgenza/emergenza, che contiene gli elementi dell’imponderabilità e ci pone spesso dinanzi alla necessità di prendere la decisione giusta molto velocemente. Fa parte del nostro mestiere, siamo abituati ad attivarci ogni giorno per trovare soluzioni, così come è stato per tutti i colleghi investiti dallo tsunami del Covid nelle sue primissime fasi. Alla base di tutto, è fondamentale che si navighi tutti nella stessa direzione e che ognuno faccia la sua parte: il lavoro di squadra – conclude – non è solo un valore aggiunto, è la chiave per affrontare con successo qualsiasi emergenza in sanità».
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