CoorDown e Uniamo a Governo e Parlamento: «Intervenire subito per restituire un segnale positivo a favore dell’occupabilità delle persone con disabilità». Il question time di Orlando
Assegno mensile di assistenza per gli invalidi parziali e attività lavorativa non sono più compatibili. Chi lavora, a prescindere dal reddito percepito, non avrà più diritto all’assegno di assistenza di 287 euro al mese finora erogato agli invalidi parziali, ovvero a coloro che hanno un’invalidità dal 74 al 99%. La comunicazione diffusa dall’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale fa seguito ad una sentenza della Corte di Cassazione che ha negato l’assegno mensile di assistenza anche a coloro che non superano il reddito personale di 4.931 euro l’anno.
La notizia ha suscitato un immediato malcontento da parte degli invalidi parziali. CoorDown (Coordinamento nazionale delle associazioni delle persone con Sindrome di Down) e Uniamo (la Federazione delle Associazioni di Persone con Malattie Rare d’Italia), facendosi portavoce delle loro richieste hanno rivolto un appello al Parlamento ed al Governo, chiedendo di «intervenire subito per sanare questa stortura a tutela dei più fragili, dei più poveri, dei più esclusi e anche per restituire un segnale positivo a favore dell’occupabilità delle persone con disabilità».
Il tema è stato affrontato oggi in Parlamento nel corso di un’interrogazione rivolta al ministro per le Disabilità e al ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, che si è impegnato per un intervento normativo a breve.
La “stortura” denunciata dalle associazioni di pazienti è racchiusa nell’interpretazione di un unico concetto, quello di “inattività lavorativa”. «Finora – spiega Carlo Giacobini, consulente CoorDown – era considerato inattivo dal punto di vista lavorativo, e quindi avente i requisiti per beneficiare dell’assegno mensile di assistenza di 287 euro al mese, l’invalido parziale (dal 74 al 99%) che non superava gli 8.145 euro annui derivanti da lavoro dipendente e i 4.800 euro in caso di attività autonoma. In altre parole, l’interpretazione data al concetto di “inattività lavorativa” – fino alla pubblicazione del messaggio INPS – è stata la stessa adottata per l’iscrizione alle liste di collocamento. Ora, invece, l’inattività lavorativa viene considerata come “nessuna attività lavorativa”, neanche minima, che produca reddito. Siamo quindi di fronte ad una interpretazione estremamente restrittiva, che limiterà la possibilità di qualsiasi lavoro o inserimento per le persone con disabilità», sottolinea il consulente.
Un cambiamento enorme per la vita di molte persone che produrrà un risparmio minimo per le casse INPS, se paragonato ai fondi necessari per l’assistenza dei disabili totali. «Gli invalidi parziali in Italia – dice il consulente – sono circa 330 mila». Calcolatrice alla mano, un assegno di 287 euro per tredici mensilità erogato a tutti i disabili parziali produce una spesa che non supera il miliardo e mezzo di euro all’anno. «La spesa per l’assistenza dei disabili parziali è stimata intorno ai 17 miliardi annui – sottolinea Giacobini -. La cifra risparmiata, pur aggiungendo le spese che saranno evitate in eventuali ricorsi per accedere all’assegno non più perseguibili di fronte ad un’inequivocabile interpretazione del concetto di inattività lavorativa, non giustifica l’enorme danno creato alle persone con disabilità parziale e alle loro famiglie. Per questi individui, che spesso svolgono lavori con orari limitati, l’occupazione ha finalità più terapeutiche e socializzanti che di reale sostentamento. Per questo – conclude il consulente – ci auguriamo che il legislatore accolga l’appello lanciato dalle associazione dei pazienti, ripristinando l’interpretazione di “inattività lavorativa” finora utilizzata».
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