Il coordinatore delle Uscar nel Lazio a Sanità Informazione: «Per l’Oms la pandemia è ancora in corso, non alle spalle. Stiamo assistendo ad una recrudescenza di casi e farei attenzione a veicolare messaggi ambigui che possono generare confusione»
Il Governo sarebbe intenzionato a chiudere le USCA entro la fine dell’anno. Questa la notizia trapelata in questi giorni che ha suscitato il malcontento di politici, istituzioni e professionisti della salute. Le Unità Speciali di Continuità Assistenziale, nate con il decreto-legge n. 14 del 9 marzo 2020, sono infatti ancora oggi fondamentali per l’assistenza domiciliare e non solo. I medici Usca assistono i malati Covid a domicilio (con ecografi, saturimetri e altri strumenti diagnostici), effettuano tamponi, si occupano del contact tracing e della campagna vaccinale. Per questo, in molti pensano che possano rappresentare un valido supporto alla medicina territoriale.
«Smantellare qualcosa che serve ancora mi sembra assolutamente prematuro e azzardato – specifica a Sanità Informazione Pierluigi Bartoletti, coordinatore delle Uscar nel Lazio -. Per l’Oms la pandemia è ancora in corso, non alle spalle. Stiamo assistendo ad una recrudescenza di casi e farei attenzione a veicolare messaggi ambigui che possono generare confusione».
Secondo il vicesegretario Fimmg Lazio il freddo, i virus stagionali virali e la variante Delta rendono imprevedibile l’andamento dei contagi: «È atteso l’arrivo dell’influenza in un paese con tutti i servizi aperti – evidenzia –. La diagnostica differenziale in assenza di tamponi è molto complicata. Per questo i medici Usca fanno anche i tamponi. C’è bisogno di massima cautela e prudenza».
E se è vero che «nomen omen» – aggiunge Bartoletti – ed è quindi innegabile che le Usca siano legate all’emergenza e che qualora finisca verrà meno la loro funzione, adesso «non solo è prematuro parlarne ma questa discussione non crea le condizioni giuste per poter lavorare bene. I lavoratori delle Usca devono essere più che concentrati sul contrasto al virus. E questi sono messaggi che disturbano chi sta lavorando ed è impegnato sul fronte Covid a domicilio per garantire l’assistenza ai malati. Necessitano della serenità per continuare a farlo e continueranno a farlo fino a quando la motivazione per la quale sono state create non verrà meno» sottolinea Bartoletti.
È presto, quindi, «per cantare vittoria» e per intavolare una conversazione sul futuro di «lavoratori assunti da due anni e ormai specializzati. La valutazione dovrà essere fatta anche alla luce del Pnrr. A bocce ferme, se si tornerà in una condizione di normalità, ne parleremo. Sarei molto cauto e aspetterei tempi più chiari per decidere cosa fare, almeno a marzo per vedere il quadro delineato».
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