Cosolo Marangon (CPP): «Sì alla tecnologia se usata con intelligenza. La presenza di genitori con figli adolescenti in gruppi WhatsApp è un’incursione nella vita del giovane e compromette lo sviluppo dell’auto-responsabilizzazione»
C’è quello “classe”, quello dedicato allo “sport” o agli amici del “tempo libero”. Ogni attività della vita sociale ha il suo gruppo WhatsApp. E a farne parte, spesso, non sono solo i diretti interessati. Se si tratta di bambini e adolescenti, nella maggior parte dei casi, sono i genitori ad averne il controllo. Ma se da un lato le nuove tecnologie permettono di accelerare tutta una serie di processi comunicativi, dall’altro un utilizzo improprio può compromettere le relazioni sociali in “carne ed ossa”, compreso il rapporto genitore-figlio.
«La tecnologia è bella finché la si usa con intelligenza, con misura, con una finalità di servizio – spiega Paola Cosolo Marangon, consulente pedagogico, formatrice del Centro psico-pedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti e vicedirettore di “Conflitti” -. Se diventa, come purtroppo accade in molti gruppi WhatsApp, un mezzo per lamentarsi, sfogare rancori repressi, perde ogni sua utilità, diventando potenzialmente pericoloso».
Per promuovere l’uso responsabile di smartphone, tablet e social annessi, il Centro psico-pedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti ha lanciato un messaggio provocatorio a tutte le mamme ed i papà: “Genitori toglietevi dalle chat”. «E se proprio non se ne può fare a meno – aggiunge Cosolo Marangon -, allora sarà meglio stabilire delle regole di utilizzo e, soprattutto, rispettarle».
Partiamo dai contenuti: «Un gruppo WhatsApp è utilizzato in maniera corretta se veicola informazioni utili e non lamentele o polemiche. È bene ricordare che siamo di fronte ad una comunicazione scritta (al massimo vocale, nel caso di messaggi audio, ndr) priva della presenza fisica di tutti gli attori coinvolti nella conversazione. Di conseguenza – sottolinea l’esperta – il destinatario, nell’interpretare il messaggio che sta ricevendo, non può farsi guidare né dall’espressione del volto, né dall’atteggiamento corporeo del mittente».
Una volta accertato che la finalità del gruppo sia espressamente comunicativa è, poi, necessario assicurarsi che ne faccia parte chi ne ha realmente diritto. «Che una madre, un padre, o entrambi i genitori facciano parte del gruppo classe del proprio figlio che frequenta il nido, la scuola materna, fino alla primaria è, generalmente, del tutto normale. Ma quando il figlio in questione diventa un adolescente in grado di gestire le sue relazioni sociali – sottolinea Cosolo Marangon – i gruppi WhatsApp di genitori possono rappresentare una vera e propria incursione nella vita del giovane, oltre a causare uno sviluppo scarso o tardivo del senso di responsabilità».
«Già l’avvento del registro elettronico – racconta la consulente pedagogica – ha abbassato il livello di auto-responsabilizzazione degli studenti: scrivere l’assegno in modo corretto non è più una loro preoccupazione, dal momento in cui sanno di poterlo consultare online in qualsiasi momento. Allo stesso modo, sono poco attenti a ciò che accade in classe e altrettanto poco inclini a ricordare anche le cose più importanti, sapendo che ci penseranno i genitori, chattando tra loro, a dirimere ogni dubbio. Per questo, “togliere le mamme e i papà dalle chat” – conclude la consulente pedagogica – significherebbe obbligare gli studenti ad auto-responsabilizzarsi e restituirebbe agli insegnanti la loro leadership pedagogica permettendogli di svolgere a pieno titolo il proprio mestiere».
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