La proposta di FeDerSerD: «Quattro le macroaree su cui intervenire: riclassificazione delle forme di dipendenza, implementazione dei servizi territoriali, adeguamento del personale, istituzione formazione ad hoc»
Catinoni, oppioidi sintetici e cannabinoidi: sono le principali tre macrocategorie a cui appartengono le cosiddette “nuove droghe”. Il Sistema Nazionale di Allerta Precoce (SNAP) solo nell’ultimo anno ne ha identificate 128. Workaholism, ortoressia, shopping compulsivo, dipendenza affettiva, dal sesso, dalle nuove tecnologie sono, invece, alcune delle nuove forme di dipendenza.
Eppure, mentre nella società, a partire dall’età pre-adolescenziale prolifera l’utilizzo di sostanze di ultima generazione e aumentano i disagi scaturiti da nuove forme di dipendenza, il Piano Nazionale per la gestione di queste patologie fa riferimento ad un testo fermo a trent’anni fa. Più precisamente al decreto n. 309 del 9 ottobre del 1990: “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”.
«La dipendenza è considerata una patologia cronica senza guarigione, ma i casi di remissione completa e di recupero globale della persona esistono – spiega Alfio Lucchini, psichiatra e past presidente della Federazione Italiana degli Operatori dei Dipartimenti e dei Servizi delle Dipendenze (FeDerSerD) -. Per questo, è necessario un intervento precoce. E per garantirlo bisogna riorganizzare, con urgenza e globalmente, i servizi territoriali per le dipendenze». Quattro le macroaree su cui intervenire: riclassificazione delle forme di dipendenza riconosciute, implementazione dei servizi territoriali, adeguamento del numero di professionisti dedicati, istituzione di percorsi di formazione specifici.
«Che sul mercato compaiano, ogni anno, nuove droghe, è un dato di fatto», sottolinea Lucchini. Lo confermano i numerosi sequestri effettuati dalle forze dell’ordine, ma anche il susseguirsi di spiacevoli fatti di cronaca che vedono protagonisti pure i giovanissimi. «Oltre alle sostanze, è cambiato anche il loro utilizzo – continua lo psichiatra -. Pensiamo, ad esempio, all’uso improprio di potenti farmaci che non necessitano di prescrizione medica». All’aumentare del numero di sostanze psicoattive in circolazione è aumentata anche la quantità di persone che si rivolgono ai Sert e ai servizi per le dipendenze. «Sono circa 300mila le richieste di aiuto che raccogliamo ogni anno presso le nostre strutture, il 70% in più di vent’anni fa», dice lo specialista.
Una domanda esponenziale a cui non è corrisposto un adeguamento dell’offerta: «In questo momento, sono circa 7mila gli operatori pubblici dedicati, in modo esclusivo, all’area delle dipendenze. Si tratta di medici, psicologi, assistenti sociali, educatori, infermieri, tutti impiegati nei 580 servizi sparsi sul territorio italiano. Il numero di questi professionisti è invariato da oltre due decenni – aggiunge Lucchini -. Secondo le stime di FeDerSerD la presenza di ogni singola figura professionale attualmente operante all’interno dei servizi per le dipendenze dovrebbe essere aumentata del 35%».
All’implemento di personale dovrebbe corrispondere anche un adeguamento formativo: «Chiunque lavori all’interno dei servizi per le dipende dovrebbe avere una formazione specifica. Per questo, la FeDerSerD chiede che sia istituito un percorso di laurea specifico in clinica delle dipendenza, con relativa specializzazione, non solo per i medici, ma anche per i professionisti sanitari che si dedicano alle dipendenze», dice il past president della Federazione.
La carenza di personale è, con molta probabilità, conseguenza diretta di scarsi investimenti. «Il nostro Paese spende circa 1 miliardo di euro per la cura dei tossicodipendenti su un fondo sanitario nazionale attuale di 122 miliardi di euro, circa lo 0,7% del totale. Una percentuale molto lontana da quanto disposto, quasi 10 anni fa dalla Comunità Europea. L’Europa, infatti, aveva stabilito una soglia di spesa minima per le tossicodipendenze dell’1,5% del fondo sanitario nazionale. Per rimetterci al passo coi tempi, e con l’Europa, c’è bisogno di un lavoro immenso – assicura lo psichiatra -. Ma, considerando che la classe politica conosce molto bene la situazione dei Servizi per le Dipendenze, tanto da aver già redatto una serie di documenti, restiamo fiduciosi».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato