L’ARSI, Associazione Ricercatori in Sanità, chiede che nell’articolo 92 della Legge di Bilancio che stabilizza i precari assunti durante l’emergenza Covid siano inseriti anche i ricercatori degli IRCSS e degli IZS
Il Covid ha mostrato in modo inequivocabile l’importanza della ricerca in ambito sanitario. Nonostante, però, le tante promesse della politica, i ricercatori in sanità sono ancora costretti a navigare a vista, prigionieri di un sistema che, seppur migliorato negli ultimi anni, continua a perpetuare quella odiosa precarietà che appare particolarmente inadatta ad un ambito così delicato.
Eppure, non parliamo di poche risorse: si tratta di 1800 ricercatori che per conto degli IRCCS (Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) e IZS (Istituti Zooprofilattici Sperimentali) pubblici, ovvero gli Istituti che svolgono la ricerca sanitaria pubblica di eccellenza in Italia, ogni giorno provano ad alzare l’asticella della scienza e della medicina.
Dopo anni di precariato storico (co.co.co., borse di studio, p.IVA), per loro è stato istituito nel 2019 un contratto a tempo determinato di 5+5 anni (noto con il nome di Piramide della Ricerca) che, di fatto, perpetua il precariato di tali professioni. Ora, però in legge di Bilancio c’è la norma per la stabilizzazione del personale assunto durante l’emergenza Covid, da cui però loro al momento sono fuori.
«Ci sono circa mille e 800 persone che lavorano negli istituti pubblici e che si occupano prevalentemente di ricerca scientifica, che può essere Covid o anche non Covid. Queste persone, da censimenti che stiamo portando avanti nelle ultime settimane hanno purtroppo una anzianità che si misura in decenni. Due anni fa c’è stato il passaggio a dipendenti della sanità pubblica, un passaggio importante. Però dopo 20 anni di lavoro da precario, presso anche lo stesso istituto pubblico, c’è stato proposto un altro contratto sempre a tempo determinato che naturalmente abbiamo accettato. Ma restiamo sempre precari», spiega a Sanità Informazione la dottoressa Valeria Contarino, membro del direttivo dell’ARSI, Associazione Ricercatori in Sanità.
L’obiettivo dell’ARSI è chiaro: approvare un emendamento alla legge di Bilancio che inserisca anche ricercatori e personale di supporto alla ricerca di IRCCS e IZS pubblici nella stabilizzazione prevista dall’art.92 relativa ai precari assunti durante l’emergenza Covid.
«Il ministero della Salute non si sta occupando dell’assunzione a tempo indeterminato dei ricercatori precari – aggiunge Contarino – perché ha già realizzato questa Piramide del ricercatore. Invece la pubblica amministrazione dovrebbe essere molto preoccupata, perché parliamo di persone che hanno una precarietà di 30 anni: queste persone potrebbero adire le vie legali per avere un rimborso e qualcuno ha già iniziato la strada dei tribunali: lo Stato potrebbe pagare un conto salato».
Ma come si fa a lavorare nella ricerca da precaria? «È un delirio, è un danno alle attività di ricerca. Gli obiettivi che ci possiamo porre sono solo obiettivi a breve termine, non abbiamo nessuna possibilità di avere una progettualità che vada ovviamente oltre i cinque anni. È un danno gravissimo alla pianificazione dell’attività scientifica. Le persone accumulano una conoscenza, un know how che viene buttato via. All’estero è diverso: intanto non esistono gli IRCSS. Questa situazione è tipica dell’Italia, non esistono degli ospedali che di per sè hanno attività di ricerca. La ricerca è appannaggio dell’università. In Italia hanno creato questi istituti senza considerare tanti aspetti», conclude.
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato