Affrontare la miastenia gravis è una operazione che passa attraverso varie fasi: tutte iniziano con il dare un nome alla propria patologia. Con Andrea Pagetta, vicepresidente dell’Associazione Miastenia, esaminiamo il rapporto con gli specialisti, le richieste da ottemperare e i vantaggi della telemedicina
Vivere la miastenia gravis da paziente può essere un percorso inizialmente complesso. Essendo una patologia rara e neurologica, la diagnosi non sempre arriva in tempi brevi e c’è spesso bisogno di muoversi tra più professionisti prima di trovare una risposta. La preoccupazione di non sapere come procedere può peggiorare l’iniziale approccio con la miastenia proprio da parte di chi la vive da dentro.
Ad oggi sono tanti i miglioramenti che sono stati fatti per assicurare ai pazienti una corretta presa in carico, fatta nel minor tempo possibile e con i mezzi migliori. Lo racconta a Sanità Informazione Andrea Pagetta, vicepresidente dell’Associazione Miastenia OdV, che si confronta con chi la affronta giornalmente. Proprio lui ci racconta che la miastenia comincia ad esistere davvero nella vita di una persona quando per la prima volta ne sente parlare. Prima «c’è un periodo che può durare mesi, di completa incoscienza». In cui si sa che qualcosa sta succedendo, ma non si riesce ad inquadrarla effettivamente. Proprio perché la miastenia «fluttua durante la giornata e coinvolge distretti diversi del tuo organismo». «Tutti – racconta Pagetta – vivono il dare il nome come qualcosa di positivo per assurdo, perché finalmente “sai con chi prendertela”. Questo è il percorso e da lì si va con visite, controlli, terapie e interventi vari. La tendenza generale per la maggioranza dei pazienti è quella di arrivare a uno stile di vita tutto sommato normale».
Per la miastenia è disponibile un percorso diagnostico terapeutico assistenziale (PDTA) che è stato portato a termine in varie strutture italiane che hanno preso in carico i pazienti. Abbiamo visto quello del dottor Rodolico a Messina, ma anche nel Triveneto c’è questa possibilità. Un approccio che permette al singolo di confrontarsi con diversi specialisti e analizzare le proprie necessità. «Abbiamo unità operative di neurologia dell’ospedale – concorda Pagetta – che sono già abituate a interagire con diversi specialisti proprio perché la miastenia è una malattia che coinvolge distretti diversi e pone dei limiti anche nelle terapie relative ad altre tipologie. Quindi siamo già abituati, almeno i pazienti che afferiscono a Padova e Treviso sanno che trovano uno specialista formato e che sa informare i suoi colleghi e allo stesso tempo i colleghi “sono sul pezzo”».
Ma a quanti sia messo a disposizione e quanti restino fuori da questa possibilità non è facile stabilirlo. Questo per la mancanza di un registro nazionale dei pazienti con miastenia gravis, denunciata dall’Osservatorio malattie rare. «Proprio grazie agli ultimi lavori fatti anche con OMAR – conferma Pagetta – è emersa questa mancanza. Non c’è un registro nazionale e non si è nemmeno sicuri sul numero di persone coinvolte in questo problema. Con un’incertezza pesante. Siamo concordi sul fatto che un registro nazionale tornerebbe utile per tante cose: un’indagine per le difficoltà di reperimento di un farmaco, oppure contarsi per influire sulle politiche della sanità o per la destinazione di fondi. Ci auspichiamo venga realizzato».
Dal lato loro le associazioni fanno il possibile per stare vicine a chi conosce il nome della propria patologia e la sta affrontando. Uno degli impegni dell’Associazione Miastenia è proprio quello di avvicinare sempre più i malati ai medici, in un confronto costante e produttivo. «Teniamo dei corsi di educazione terapeutica dove invitiamo un numero di pazienti che hanno possibilità di interagire con diversi specialisti – prosegue Pagetta – ma lo scopo è quello di dare al paziente una consapevolezza della malattia in una sorta di autogestione, capire qual è il momento di contattare lo specialista. Per favorire questo rapporto intimo tra medico e paziente, non potendo aumentare il numero di specialisti dobbiamo diminuire quello di richieste che si possono gestire in altra maniera».
Con la pandemia i contatti sono stati ridotti per necessità e la telemedicina ha trovato uno spazio utile. «La possibilità di comunicare è centrale per chi soffre di miastenia – conferma il vicepresidente di AM – perché il 90% di una visita di controllo è un dialogo e si può fare tranquillamente tramite video. I nostri medici hanno pubblicato un lavoro in cui dicono che dal video si può arrivare ad avere una oggettivazione dei sintomi. Quindi se la malattia non è in una fase critica pesante, la telemedicina aiuta ad avere questo rapporto più stretto tra il paziente e il suo specialista di riferimento».
Il trattamento e la gestione della malattia hanno fatto passi da gigante ma le richieste dei pazienti ci sono ancora. «La richiesta fatta continuamente riguarda qualsiasi malattia cronica, ovvero quella di un farmaco che possa portare alla guarigione totale», sorride Pagetta. «I trattamenti che si hanno a disposizione in ogni caso – specifica – sono ormai così ampi che il neurologo riesce a ritagliare una terapia su misura per ogni paziente affinché possa godere di una vita tranquilla e “normale”. I casi di remissione farmacologica sono la stragrande maggioranza, negli ultimi 10 anni l’arsenale a disposizione dei medici è aumentato e si è differenziato e questo a vantaggio di una terapia più mirata».
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