Romano (gastroenterologo): «Si tratta di una condizione clinica caratterizzata da crisi di vomito incoercibile, spesso associate ad altri sintomi, sia gastrointestinali che neurologici, come cefalea, emicrania, nausea, fotofobia»
«Una notte mi sono svegliata, d’improvviso. Ho avuto l’impulso di alzarmi e l’ho fatto: il dolore era sparito. Così ho ripreso a mangiare, come se nulla fosse mai accaduto. Non avevo più la necessità, continua ed impellente, di vomitare». Gaia, 22 anni, comincia da qui, dalla parte migliore della storia, a raccontare la sua malattia. Gaia soffre della sindrome del vomito ciclico, «una condizione clinica caratterizzata da crisi di vomito incoercibile», spiega Claudio Romano, direttore della gastroenterologia pediatrica dell’Università di Messina, consulente scientifico della SICVO e responsabile del Centro di riferimento del sud Italia per la Sindrome del Vomito Ciclico.
«Il vomito si presenta spesso associato ad altri sintomi, sia gastrointestinali che neurologici, come cefalea, emicrania, nausea, fotofobia. Si tratta di una patologia difficile da diagnosticare, troppo spesso confusa con disturbi del comportamento alimentare o forme di cefalee complesse. Tanto che – aggiunge Romano – si arriva a diagnosticarla solo dopo aver escluso tutte le altre patologie che si presentano con sintomi simili». Gaia alla diagnosi ci è arrivata da sola: «Ero in preda alla disperazione – racconta – così ho cominciato a studiare, a cercare casi che rispecchiassero il più possibile la mia situazione. A marzo del 2021 ho trovato la risposta: la malattia che mi tormenta da anni si chiama sindrome del vomito ciclico».
La patologia di Gaia è esplosa nell’Aprile del 2016, ma fin da bambina finiva spesso in ospedale in preda a crisi di vomito. «Venivo sottoposta regolarmente ad accertamenti ed analisi, ma l’unica diagnosi che i medici riferivano ai miei genitori era di una semplice intolleranza al lattosio», racconta la giovane. Una diagnosi di cui Gaia si è “accontentata” fino all’adolescenza, poi il malessere è diventato così aggressivo da costringerla a ricercare risposte più soddisfacenti. «Quel maledetto mese di aprile del 2016 ha cambiato radicalmente la mia vita: la sindrome è comparsa, come di consueto, all’improvviso e con estrema violenza. E non mi ha abbandonata per 45 giorni consecutivi. Non riuscivo più a mangiare, né a bere per giorni interi. Avevo la sensazione che qualcuno mi avesse piazzato una lama nello stomaco e che, pian piano, me lo lacerasse. Vomitavo senza sosta. Sono entrata in anoressia: ho perso ben 15 kg. Sono stata sottoposta ad ogni tipo di accertamento, ma senza ottenere alcuna risposta – racconta Gaia – . Ero inguardabile e non riuscivo più ad integrarmi con nessuno. Inutile dirlo che portare avanti qualsiasi tipo di relazione era impossibile: venivo derisa da tutti coloro che conoscevo. Poi, una notte di giugno tutto è sparito, vomito e dolore hanno lasciato il mio corpo».
In quello stesso anno, il 2016, Gaia ha avuto due crisi e, purtroppo, non sono state le ultime. «Pensavo che il 2016 fosse stato un anno con un brutto ricordo da seppellire. E, invece, l’anno successivo la crisi si è ripresentata. E nemmeno questa volta ho trovato comprensione. Non è che ci si senta semplicemente non capiti – sottolinea Gaia – gli altri ti ritengono “pazza”. Così, ad ogni crisi, anche se ormai so bene cosa mi aspetta, mi demoralizzo. L’eccessiva perdita di peso non è facile da gestire: non riesco a condurre una vita normale, come quella di tutte le ragazze della mia età». La sindrome del vomito ciclico è classificata tra le sindromi periodiche: «Si presenta con una certa regolarità e può manifestarsi a qualsiasi età – spiega il professor Romano -. In ambito pediatrico è la fascia di età 6 -12 la più colpita. La gravità può essere d’intensità variabile: da una crisi all’anno ad una al mese. Così come la fase acuta varia dalle due ore ai 4-5 giorni, tempo in cui il vomito si manifesta, di solito, ogni 10 minuti».
Non esistono cure risolutive. «Disponiamo di una terapia di profilassi, che evita la comparsa della crisi o, quanto meno, ne limita la frequenza, e di una terapia della fase acuta, che punta a bloccare la crisi o a diminuirne l’intensità – aggiunge il gastroenterologo -. Purtroppo, la risposta ai farmaci, dagli antiemicranici agli antiepilettici, non è sempre soddisfacente». Anche Gaia segue una terapia, «ma – dice – senza molto effetto». Gaia si definisce una ragazza volenterosa, affettuosa e altruista: «Non ho mai avuto difficoltà ad affrontare un problema – assicura -. Ma con questa malattia è diverso: il pensiero che la “brutta bestia” si ripresenti mi paralizza. Vorrei una cura che potesse trasformare la sindrome in un brutto ricordo. Vorrei riprendere in mano la mia vita e – conclude – vivere i miei vent’anni e tutti quelli che verranno».
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