Nei pazienti con OSAS (sindrome da apnee ostruttive del sonno) l’incidenza di ipertensione arteriosa, aritmie, scompenso cardiaco, ictus e cardiopatia è maggiore, a confermarlo gli studi più recenti. Con il cardiologo Filippo Scalise (Policlinico Monza) analizziamo questa connessione tutt’altro che scontata
Ne abbiamo analizzato le complicanze pneumologiche, ma la Sindrome da apnee ostruttive del sonno (OSAS) da sola rappresenta anche un fattore di rischio indipendente per le malattie cardiovascolari. Proprio per questo i cardiologi stanno cominciando a interessarsi sempre di più ai pazienti che ne soffrono, in cui l’incidenza di ipertensione arteriosa, aritmie, scompenso cardiaco, ictus e cardiopatia è maggiore. Sanità Informazione ha raggiunto telefonicamente uno specialista che da tempo indaga su questa connessione: il dottor Filippo Scalise, direttore del Dipartimento di Cardiologia Interventistica al Policlinico di Monza.
Quel che succede quando le apnee ostruttive del sonno diventano un disturbo cronico è che «i ripetuti episodi di occlusione delle vie aeree, riducendo l’ossigeno ed aumentando l’anidride carbonica nel sangue, attivano una larga varietà di risposte emodinamiche e del sistema nervoso autonomo». L’intero sistema cardiovascolare, spiega l’esperto, è quindi esposto a uno “stress neurormonale” più volte a notte, fatto di oscillazioni nel sistema autonomo, nei valori di pressione arteriosa e frequenza cardiaca.
Per evitare che si giunga a questo risultato è importante fare caso ad alcuni fattori fondamentali, prima di tutto da parte dei medici di famiglia che intercettano per primi i segnali di OSAS. «Il paziente – spiega ancora Scalise – può arrivare dal medico e riferire una “stancabilità” durante la giornata, si sveglia con mal di testa e ha sonnolenza durante il giorno, si alza frequentemente per la minzione e russa durante la notte. Il medico deve sapere che questi sintomi possono essere legati alle apnee notturne soprattutto se si trova di fronte a un paziente obeso, con un collo molto grosso che ha dei segnali inequivocabili di soffrire di questo disturbo».
È noto che circa il 30% dei pazienti con ipertensione arteriosa soffre di apnee notturne e il 50% di pazienti OSAS ha un’ipertensione arteriosa secondo gli ultimi studi, che confermano la mancanza di riduzione fisiologica notturna della pressione arteriosa nei pazienti con apnee. Allo stesso modo, le alterazioni del ritmo del cuore (aritmie) sono da 2 a 4 volte più frequenti in chi soffre di OSAS. Scalise spiega che «circa la metà di queste aritmie è costituita da un rallentamento patologico della frequenza cardiaca (arresti sinusali e blocchi atrioventricolari di secondo grado)». «Il rischio di morte improvvisa durante il sonno per cause cardiache nei soggetti OSA – aggiunge – è significativamente più alto rispetto ai soggetti non affetti».
L’esperto ha ricordato inoltre che la principale forma di aritmia correlata ad OSAS è la fibrillazione atriale. «Studi clinici hanno evidenziato – è la spiegazione dell’esperto – che negli individui con meno di 65 anni la presenza di OSA è predittiva nei confronti dell’incidenza e recidiva di fibrillazione atriale. Il repentino aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico durante le apnee può infatti portare all’attivazione di particolari circuiti nel sistema elettrico del cuore che possono iniziare una fibrillazione atriale».
Infine, i pazienti affetti da OSAS rischiano due volte di più di sviluppare uno scompenso cardiaco, indipendentemente da altri fattori di rischio già noti. «Il meccanismo più ovvio attraverso il quale l’OSA può portare allo sviluppo o alla progressione dello scompenso cardiaco – prosegue Scalise – non è la sola ipertensione arteriosa sistemica, ma anche l’aumentata incidenza di ischemia miocardica, la ridotta contrattilità dovuta all’ipossia e le variazioni emodinamiche indotte dalla ricorrente negativizzazione della pressione intratoracica per l’eccessivo sforzo respiratorio».
Vista la correlazione così stretta e chiara tra molteplici malattie cardiovascolari e OSAS, l’attenzione del medico verso il paziente deve essere molto alta, specie quando si tratta di un paziente che ha già una patologia diagnosticata. «Specialmente nell’ipertensione arteriosa e nello scompenso cardiaco – dice il cardiologo – quando si nota nel paziente una insoddisfacente risposta agli interventi terapeutici che di solito sono efficaci, come un paziente iperteso che è in terapia e nonostante uno o più farmaci ha ancora i valori alti, in questo caso bisogna chiedersi se effettivamente questo paziente non abbia anche OSA, specie se la pressione risulta alta durante la notte».
Con la pandemia da Covid-19, spiega ancora Scalise, tanti pazienti OSAS sono peggiorati come tante patologie connesse all’aumento di peso. «I pazienti diabetici sono ingrassati, i pazienti ipertesi sono ingrassati – continua –. La riduzione del movimento legata alla chiusura delle palestre e dello sport in generale ha avuto un riflesso importante su queste patologie e i pazienti in cui l’OSA ha una stretta correlazione con il peso ovviamente sono peggiorati. Ne vediamo molti di più ma anche perché adesso siamo molto più attenti, c’è più cultura e la patologia si conosce meglio. Si sa che si deve curare perché può avere tanti riflessi sia per il sistema cardiovascolare ma anche a livello di sistema cerebrale».
La diagnosi di OSAS passa attraverso il monitoraggio cardio-respiratorio e la sua gestione si delinea in più approcci terapeutici. Dai vantaggi che si ottengono semplicemente dimagrendo e modificando lo stile di vita, agli avanzatori mandibolari ortodontici per facilitare il passaggio dell’aria ed alla terapia posizionale, fino alla C-PAP, un dispositivo che il paziente utilizza durante la notte che insufflando aria nelle vie respiratorie evita che collassino e sperimentino nuove apnee. La sindrome da apnee notturne si può curare e gestire, ma riconoscerla è essenziale per evitare una lunga serie di complicazioni.
L’attenzione dei cardiologi è accesa, ma c’è bisogno ancor di più di diffondere conoscenza e cultura tra i mmg, conclude Scalise. I primi a ricevere notizie sui sintomi e in diritto di direzionare il paziente verso lo specialista e poi la cura più adatta.
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