La Presidente Aima: “Due molecole innovative e capaci di modificare la progressione della malattia di Alzheimer sono state approvate in diversi Paesi, ma non in Europa. Rischiamo di far diventare l’Alzheimer una malattia per ricchi, gli unici a potersi curare”
La prognosi media della malattia di Alzheimer è di 12 anni. E non c’è giorno di questi 12 anni in cui chi si prende cura di una persona affetta da Alzheimer non debba fare i conti con la fatica, sia fisica, che emotiva. Fatica che aumenta al progredire della malattia. Non meno importante il carico economico da affrontare: nella maggior parte dei casi l’assistenza e la cura offerte dal Sistema Sanitario Nazionale non sono sufficienti a rispondere alle reali esigenze di un malato di Alzheimer. “La gestione di una persona con Alzheimer è un compito complesso e impegnativo per i caregiver. Prevede un coinvolgimento totale e comporta un impegno estenuante che dura anni e che devasta non solo l’economia della famiglia, ma anche la sfera psicologica e quella delle relazioni”, racconta Patrizia Spadin, Presidente di Aima, l’Associazione Italiana Malattia di Alzheimer, in un’intervista a Sanità Informazione.
“La ricerca Censis-Aima che abbiamo presentato il mese scorso, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer, ha rivelato che un caregiver su cinque riferisce di non ricevere alcun aiuto e uno su due afferma che la situazione che vive porta a tensioni familiari – aggiunge la Presidente AIMA -. Inoltre, per oltre il 40% dei caregiver, negli ultimi anni e in particolare dopo la pandemia, non si è riscontrata nessuna variazione significativa nell’offerta di servizi per le persone con Alzheimer e anzi per il 30% dei caregiver la situazione è sostanzialmente peggiorata”. L’indagine Censis-AIMA sull’ ‘Impatto economico e sociale della malattia di Alzheimer dopo la Pandemia da Covid-19’ ha confermato i numeri che già conoscevamo: “Oltre il 70% dei caregiver è di sesso femminile, ha in prevalenza tra i 46 ed i 60 anni e nel 55% dei casi lavora. Il ricorso alla badante coinvolge poco più del 40% delle famiglie, ma rispetto al passato sono sempre di più i badanti non conviventi, segno di una esigenza forte di diminuzione della spesa. Sono quindi soprattutto i familiari a portare il peso anche fisico della malattia, eppure l’Alzheimer negli anni continua a non ricevere l’attenzione che merita dalla politica e dalle istituzioni – racconta Spadin -. Emilia-Romagna, Veneto, Lazio e Toscana sono le regioni in cui il livello assistenziale è più alto”. Eppure anche qui non sono pochi i caregiver che denunciano una situazione non più sostenibile. “Situazione – continua la Presidente Aima – che è ben più grave al Sud, dove c’è poca assistenza sanitaria e i servizi socioassistenziali sono pressoché inesistenti”.
Il morbo di Alzheimer è una malattia progressiva, nella quale i sintomi di demenza peggiorano gradualmente in un certo numero di anni. Nelle sue fasi iniziali, la perdita di memoria è leggera, ma in una fase avanzata della malattia, le persone perdono la capacità di portare avanti una conversazione e di reagire nel loro ambiente. Attualmente è incurabile: i farmaci disponibili servono solo a trattare i sintomi. “Le terapie disponibili oggi sono gli inibitori della colinesterasi, farmaci sintomatici prescritti nella fase moderata di malattia, con piano terapeutico dal CDCD che, come sappiamo, presenta criticità e difformità negli orari di apertura, nella presenza di multiprofessionalità, nella distribuzione territoriale – spiega la Presidente di Aima -. Per le fasi avanzate di malattia, soprattutto per le fasi comportamentali, vengono impiegati farmaci psicotropi o neurolettici: ma nessuno di questi farmaci permette di intervenire sulla progressione della malattia. Per fortuna, la ricerca ha proseguito intensamente nonostante i ripetuti fallimenti nell’ultimo decennio: due molecole innovative e capaci di modificare la progressione della malattia di Alzheimer sono state approvate negli Stati Uniti, in Giappone, Cina e Inghilterra, e in altri paesi. Non in Europa: sospettiamo motivi economici e di timore per i Sistemi Sanitari Europei che non sono stati capaci di attrezzarsi adeguatamente per intervenire con le nuove molecole nelle fasi lievissime o prodromiche della malattia. Così rischiamo di far diventare l’Alzheimer una malattia per ricchi, gli unici a potersi curare, e invece che intervenire sullo stigma – conclude Spadin – aumentiamo le disuguaglianze”.
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato