Manifestazione dei pazienti a Bruxelles contro la decisione dell’Ema di ritirare l’autorizzazione alla commercializzazione di un farmaco che rappresenta l’unica opzione terapeutica per questa patologia rara in caso di inefficacia della terapia di prima scelta
I pazienti affetti da colangite biliare primitiva che non rispondono al trattamento standard rischiano di dover rinunciare all’unica opzione terapeutica in grado di evitare che la malattia progredisca, degenerando in cirrosi epatica. Per questo, ieri, sono scesi in piazza a Bruxelles, manifestando la propria contrarietà alla decisione dell’Agenzia Europa dei medicinali di ritirare l’autorizzazione alla commercializzazione di un farmaco che rappresenta l’unica opzione terapeutica per questa patologia rara in caso di inefficacia della terapia di prima scelta. Senza questo trattamento i pazienti rischiano di andare incontro a cirrosi epatica che, progredendo, aumenta il rischio di necessità di trapianto e di morte. “La decisione dell’Agenzia europea – dicono le associazioni dei malati – non si basa sulla mancanza di prove sui benefici per i pazienti, ma su argomenti metodologici”.
“La colangite biliare primitiva è una malattia autoimmune del fegato che colpisce prevalentemente le donne con un rapporto femmine-maschi di 9 a 1 e provoca una malattia cronica del fegato con possibilità di andare verso la cirrosi e il trapianto di fegato”, spiega Annarosa Floreani, studiosa senior all’Università di Padova e consulente scientifico all’Irccs di Negrar, Verona. L’assunzione di un acido biliare di sintesi (l’acido ursodesossicolico) è in grado di controllare la malattia in circa il 60%-70% dei pazienti. Il 30-40% rimanente, però, non risponde a questo farmaco. Nel 2017 è stato approvato un trattamento destinato a questi pazienti, l’acido obeticolico, altrimenti destinati alla degenerazione del fegato. È questo farmaco oggetto della decisione dell’Ema, che lo scorso 28 giugno, al termine di una valutazione, ha raccomandato la revoca dell’autorizzazione all’immissione in commercio “perché i suoi benefici non sono più considerati superiori ai rischi”, spiega l’Agenzia.
La decisione, però, non ha convito i pazienti e gli specialisti. In una lettera aperta indirizzata ai pazienti affetti da colangite biliare primitiva e ai medici che li hanno in cura, l’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato, insieme alle associazione dei pazienti Epac e Amaf, hanno chiarito che il farmaco è sicuro, spiegando, inoltre, che la decisione dell’Ema ha diverse falle. I risultati dello studio preso in considerazione dall’Agenzia, infatti, “sono stati inficiati da una alta percentuale di pazienti (principalmente nel gruppo placebo) che ha deciso di abbandonare lo studio e iniziare un trattamento di seconda linea in aperto con fibrati od Ocaliva. Pertanto, i risultati dello studio non possono essere interpretati correttamente”, si legge nella lettera diffusa dalle Associazioni.
L’Ema, inoltre, non ha voluto prendere in considerazione nei dati che arrivavano dalla pratica clinica quotidiana e dagli studi di real-world evidence, che hanno confermato l’efficacia del farmaco. La palla adesso è passata alla Commissione Europea che dovrà ratificare le raccomandazioni dell’Agenzia del Farmaco. La decisione è attesa per l’inizio di agosto. “La cosa che a noi preme di più in questo momento è che l’Agenzia Italiana del Farmaco convochi l’azienda affinché si trovi una soluzione adeguata per garantire la continuità terapeutica – dice il presidente di EpaC Ets, Ivan Gardini -. Poi, che ci convochino per un’audizione in Aifa in modo da poter dire la nostra, insieme alle società scientifiche di riferimento”, aggiunge. Su scala europea, invece, pazienti e società scientifiche sperano che la Commissione Europea non ratifichi la decisione dell’Ema e che quest’ultima possa riconsiderare la propria raccomandazione con una nuova analisi, che prenda in considerazione tutte le prove scientifiche disponibili sul medicinale. “Altrimenti torneremmo allo stadio precedente all’entrata in commercio di questo farmaco, cioè di una malattia che può avere una progressione, seppur lenta, verso la cirrosi e le sue complicanze, compreso il tumore e il trapianto di fegato”, conclude Floreani.
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