“I numeri aumentano in modo vertiginoso, con stime che raddoppieranno entro il 2050. La ricerca sta sviluppando nuove terapie, ma qualsiasi trattamento contro le demenze funziona meglio se il paziente è in fase presintomatica. Per questo lavoriamo sui marcatori di malattia e sulla diagnosi precoce”. Con queste parole Raffaele Lodi, presidente Rete Irccs delle Neuroscienze che riunisce 30 istituti di ricerca e cura a carattere scientifico, in vista della Giornata mondiale Alzheimer, che si celebrerà il 21 settembre, fa il punto sugli obiettivi a cui punta la ricerca scientifica attuale. Per celebrare la Giornata 2024, l’intergruppo Parlamentare Neuroscienze & Alzheimer ha organizzato numerose iniziative: i palazzi istituzionali d’Italia si illumineranno di viola, mentre alla Camera sarà allestita una mostra fotografica per ricordare che sono oltre un milione e 200mila le persone che soffrono di demenze nel nostro Paese. E il 50-60% di coloro che ne soffrono hanno l’Alzheimer, pari a circa 600mila anziani.
“Dobbiamo sostenere la ricerca e intercettare precocemente i pazienti. Per poter intervenire con quello che già abbiamo, ma anche per inserirli in programmi di sviluppo di nuove terapie. Accanto a questo vanno aiutate le famiglie”, ricorda la senatrice Beatrice Lorenzin (Pd), co-presidente dell’Integruppo. “Proprio sulle loro spalle infatti – aggiunge – pesa un costo sociale elevatissimo e mancano punti di riferimento sul territorio, ad eccezione di quello costituito dalle associazioni di pazienti”. Tra le iniziative previste per la Giornata, spiega Annarita Patriarca (Fi), co-presidente Intergruppo, “una mostra a Palazzo Montecitorio dal titolo ‘Mamma mia’, con scatti fotografici che osservano i comportamenti di una mamma malata attraverso gli occhi della figlia. Prevediamo poi l’accensione di palazzi istituzionali come quello del ministero della Salute, della Camera e del Senato, ma l’obiettivo è arrivare anche nei comuni delle principali città. Perché parlarne e aumentare la consapevolezza sulla malattia elimina lo stigma”.
La strategia della prevenzione resta centrale. “Obesità, alcol, fumo e sedentarietà sono tutti fattori di rischio per l’Alzheimer su cui si può agire. Grazie ai farmaci abbiamo diminuito le morti per malattie cardiovascolari – spiega Alessandro Padovani, presidente della Società Italiana di Neurologia – ma non stiamo riducendo il numero di persone con malattie neurodegenerative: per farlo dobbiamo investire nella neurologia di prossimità. Abbiamo 800mila affetti da forme prodromiche di demenza e sono quelli su cui fare interventi preventivi per evitare che evolvano in malattia vera e propria. Il problema è l’identificazione di questi soggetti a rischio”.
La malattia di Alzheimer, infatti, al momento prevede cure sintomatiche ma molto si può fare sulla prevenzione, che può essere in grado di ridurre del 40% il rischio di sviluppo di demenza nelle persone a rischio. Mappare i fattori di rischio e testare gli interventi, anche con l’uso dell’Intelligenza artificiale è l’oggetto dello studio ComfortAge, di cui l’Italia, con la Fondazione policlinico Gemelli, è leader della parte clinica. “Lo studio della durata di cinque anni si propone di mappare su un’ampia popolazione europea una carta del rischio e valutare l’efficacia degli interventi preventivi sulla popolazione”, conclude Camillo Marra, presidente della Società italiana di Neurologia (Sin).
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