L’indagine ha coinvolto 67 giovani adulti tra i 18 e i 40 anni e 50 genitori di bambini e ragazzi tra i 6 e i 18 anni, per un totale di 117 intervistati, distribuiti uniformemente per età e genere, la cui patologia necessita, per la maggior parte dei rispondenti, l’uso della carrozzina e l’aderenza ad un programma di riabilitazione presso un centro specializzato
Lo sport è un valore riconosciuto in modo unanime ma, di fatto, lo praticano circa quattro su 10 degli intervistati nell’indagine qualitativa ‘Ada informa: lo sport e le malattie neuromuscolari’. La ricerca, presentata in occasione dell’undicesima Giornata internazionale dello sport per lo sviluppo e la pace, che si celebra domani 6 aprile, nasce nell’ambito del progetto educativo ‘La SMAgliante Ada‘, con l’obiettivo di approfondire la conoscenza e l’impatto della pratica sportiva adattiva (lo sport accessibile a chi vive con una disabilità) sulla vita quotidiana, sulla salute e sul benessere psico-fisico di bambini, ragazzi e adulti con atrofia muscolare spinale (Sma) e distrofie muscolari. “In questa giornata in cui si celebra lo sport come potente strumento per rafforzare i legami sociali, la solidarietà, la pace e il rispetto, la voce di chi pratica uno sport adattivo è preziosa per costruire conoscenza su un tema ancora poco esplorato dal punto di vista scientifico – afferma Alberto Fontana, presidente dei Centri clinici Nemo – I dati di questa indagine, infatti, non solo ci permettono di promuovere l’impatto positivo che la pratica sportiva adattiva ha sulla qualità di vita di chi vive una malattia neuromuscolare, a pochi mesi dal riconoscimento costituzionale dello sport, ma ci consente di comprenderne le opportunità di sviluppo per imparare a tracciare nuovi significati del concetto di cura”.
Promossa da Nemolab, con il patrocinio di Centri clinici Nemo, Associazione famiglie Sma Aps Ets, Uildm (Unione italiana lotta distrofia muscolare), Fipps (Federazione italiana oaralimpica powerchair sport) e Comitato italiano paralimpico, con il contributo non condizionante di Roche Italia, l’indagine ha coinvolto 67 giovani adulti tra i 18 e i 40 anni e 50 genitori di bambini e ragazzi tra i 6 e i 18 anni, per un totale di 117 intervistati, distribuiti uniformemente per età e genere, la cui patologia necessita, per la maggior parte dei rispondenti, l’uso della carrozzina e l’aderenza ad un programma di riabilitazione presso un centro specializzato. Anche se chi pratica sport è il 34% dei bambini/ragazzi e quasi il 42% degli adulti intervistati, percentuali lontane da quelle della popolazione generale, il dato è un segno concreto dell’impegno delle associazioni dei pazienti in questo ambito, in quasi cinquant’anni di storia.
È il nuoto lo sport più praticato dal campione, soprattutto in età evolutiva, seguito dagli sport di squadra, con la lunga tradizione del powerchair hockey e l’affacciarsi, negli ultimi anni, del powerchair football, soprattutto per le giovani generazioni. “Lo sport è una scintilla, un attivatore di energia – osserva Marco Rasconi, presidente nazionale Uildm -. È strumento prezioso di inclusione senza perdere l’aspetto di competizione. Ed è proprio questo equilibrio che va protetto e mantenuto anche nello sport adattivo. Per un giovane con disabilità, lo sport diventa un obiettivo fisso. Cominciare a fare sport rende tutte le altre attività più raggiungibili, perché di fronte al ‘non posso fare’ legato a una diagnosi, subentra il pensiero del ‘posso fare tutto'”. Infatti, i dati confermano che praticare sport ha un forte impatto positivo sulla qualità di vita percepita (62% dei genitori e 75% degli adulti) in termini di benefici fisici come: una migliore percezione delle proprie capacità e del proprio benessere fisico (70%); un maggiore senso di autocontrollo mentale del proprio corpo e delle proprie abilità fisiche (55%), e un aumento del senso di operosità e di voglia di fare (80%degli adulti, 68% dei genitori).
“La scelta di iniziare un sport adattivo è dettata prima di tutto da un interesse personale – sottolinea Elena Carraro, medico fisiatra, referente area riabilitativa Centro clinico Nemo Milano e co-curatrice dell’indagine -. Tuttavia è interessante notare come, nonostante gli intervistati frequentino un centro di riferimento per il trattamento riabilitativo, il 52% dei genitori e il 34% degli adulti riferisca di non aver ricevuto alcuna indicazione dal personale sanitario riguardo la possibilità di intraprendere attività sportive, con le eventuali controindicazioni o benefici. Per questo è importante continuare a indagare anche dal punto di vista clinico e scientifico la relazione tra sport adattivo e salute, con scale di valutazione funzionali mirate, imparando nel tempo a valorizzare nella storia di malattia anche i benefici ed i vantaggi che lo sport può portare al loro benessere psico-fisico e alla qualità di vita”.
Sul piano psicologico, emotivo e relazionale, “giocare in squadra – aggiunge Silvia Bolognini, psicologa di Nemolab e co-curatrice dell’indagine – è un potente veicolo per formare nuove amicizie, consolidare legami sociali e sperimentare il senso di appartenenza ad un gruppo, indipendentemente dall’età, come ha evidenziato quasi il 40% dei genitori e circa 66% degli adulti”. Non solo, gli intervistati riferiscono anche: una percezione di maggiore autoefficacia nell’utilizzare strategie per gestire la vita quotidiana (55% genitori e 53% adulti); un miglioramento dell’autostima, con una maggiore consapevolezza delle proprie abilità e sicurezza (70% dei genitori e 78% degli adulti); un aumento della determinazione nel perseguire gli obiettivi (75% dei genitori e 84% degli adulti), del senso di autorealizzazione personale e delle proprie aspirazioni con un miglioramento dell’umore (60% dei genitori e 66% degli adulti).
“Attraverso l’attività sportiva adattiva, i nostri bambini e ragazzi hanno la possibilità di mettersi alla prova in un campo da gioco e di vivere un’esperienza come i loro pari – rimarca Anita Pallara, presidente di Famiglie Sma -. È vero, si fanno i conti anche con i propri limiti, ma si imparano nuove skills per superarli e questo è fondamentale soprattutto per i bambini in fase di crescita e con una disabilità motoria come la Sma. La pratica sportiva, inoltre, aiuta a conoscere e a gestire il proprio corpo al di fuori delle attività ordinarie alle quali i nostri bambini sono abituati, come la fisioterapia e la riabilitazione, a rafforzare il legame con i genitori, stimolare nuove amicizie e creare legami di fiducia con persone al di fuori della propria cerchia familiare, come ad esempio con l’allenatore”.
Gli ostacoli che impediscono la pratica sportiva adattiva sono, in particolare, barriere fisiche e strutturali, come la difficoltà di identificare un centro di riferimento accessibile a sport adatti alla propria patologia (87,8% dei genitori e 86,6% degli adulti), la fatica di organizzare e gestire i trasporti, la scarsa sostenibilità economica e la percezione di poca inclusività delle attività sportive proposte (50% degli intervistati). “L’inclusione è il traguardo di un lungo progetto – commenta Luca Pancalli, presidente del Comitato italiano paralimpico – Questa indagine ci racconta di come lo sport possa migliorare sensibilmente la qualità della vita di persone con disabilità gravi e gravissime e favorire percorsi di socialità e di integrazione. Con lo sport è possibile superare i propri limiti e contribuire alla costruzione di una società più giusta, più equa, più solidale”.
I benefici della pratica sportiva “sono testimoniati dalla partecipazione e dalla resilienza dei tanti atleti, familiari, volontari, tecnici, tifosi – rimarca Andra Piccillo, presidente federale Fipps -. Ma indagini come questa sono occasioni fondamentali per raccogliere dati ed evidenze statisticamente tangibili sui benefici e impatti che le discipline sportive che promuoviamo hanno sulla qualità della vita delle persone che le praticano e che le vivono, come vi invitiamo a sbirciare, in occasione della Giornata internazionale dedicata al powerchair hockey di domenica 7 aprile”, sui social con #ipchday. “Più che di diversità, a me piace parlare di unicità: siamo tutti diversi e per questo unici – conclude Amelia Parente, Rare Condition Government Affairs & Transformation Enabling Head Roche Italia – Lo sport è uno dei linguaggi universali capaci di compiere una operazione fondamentale per la coesione sociale: riconoscere l’unicità e il talento di ciascuno mentre si fonde con quello degli altri. E’ per questo che siamo orgogliosi di aver fatto parte del progetto educativo ‘La SMAgliante Ada’, che mette al centro la salute mentale, quella fisica e la diversità e inclusione come la vogliamo intendere: unicità di ciascuno e unità tra tutti”.
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