Advocacy e Associazioni 26 Giugno 2024 11:27

Malattia di Fabry, chi ne soffre ‘perde’ 20 giorni all’anno (di ferie) per terapie e visite

Il dato, già rilevato nel 2018, è stato ora riconfermato attraverso una survey più recente realizzata dall’Associazione Italiana Anderson-Fabry (AIAF-APS)

di I.F.
Malattia di Fabry, chi ne soffre ‘perde’ 20 giorni all’anno (di ferie) per terapie e visite

Ogni anno, una persona con malattia di Fabry ‘perde’ circa 20 giorni per andare in ospedale e sottoporsi a visite e terapie. Il dato, già rilevato nel 2018, è stato ora riconfermato attraverso una survey più recente realizzata dall’Associazione Italiana Anderson-Fabry (AIAF-APS). Per questo oggi, a sei anni di distanza dalla prima rilevazione, prosegue e si rafforza l’impegno di AIAF nella definizione e diffusione di un sistema di presa in carico del paziente che consenta di abbattere al massimo questo dato. Trattandosi di una patologia multisistemica, con interessamento prevalente di sistema nervoso, reni e cuore, un investimento così importante in “giornate perse” deriva, nella maggior parte dei casi, dalla difficoltà di far combaciare appuntamenti con specialisti diversi.

Il progetto “Caring Fabry”

Da questa rilevazione di criticità è nato il progetto “Caring Fabry”, promosso da AIAF a partire dal 2018 e realizzato in collaborazione con la Società Helaglobe Srl, che ha proprio l’obiettivo di colmare la disparità tra bisogno di assistenza e attuale presa in carico, disegnando il modello ideale di presa in carico del paziente con malattia di Anderson-Fabry. In questo modo potranno essere ottimizzati i tempi e potrà essere migliorato il funzionamento degli attuali centri di cura. “Le persone con Malattia di Fabry hanno necessità di sottoporsi a numerose visite di controllo multidisciplinari, spesso organizzate in date diverse, che costringono a molteplici assenze dal lavoro o da scuola. A queste giornate, spesso si aggiungono ulteriori giornate di assenza per la gestione delle terapie, pari a 26 giorni annui per i pazienti in cura con la terapia enzimatica sostitutiva che non possono curarsi a casa. Anche la necessità di ritirare i farmaci in ospedale (spesso lontano da casa) per alcuni pazienti comporta ulteriori assenze dal lavoro. Tutte queste assenze comportano la necessità di fare ricorso a permessi, ferie o giorni di malattia al lavoro – spiega Stefania Tobaldini, presidente AIAF -. Non solo – prosegue –, il problema si riversa molto frequentemente anche sulle famiglie, perché spesso si ha bisogno dell’accompagnamento da parte di un familiare”.

I risultati dell’indagine

Dalla più recente (2023) indagine, portata avanti nell’ambito del progetto, è emerso che la maggioranza (83,2%) dei partecipanti ha un centro di riferimento nella propria regione di residenza, mentre il 16,8% deve recarsi fuori regione. Solo il 10,6% riferisce che il proprio medico di medicina generale o pediatra è in contatto con il centro di riferimento. “La survey – illustra Davide Cafiero, Managing Director di Helalgobe – ha raccolto 113 questionari completi, su 177 partecipanti, i quali hanno evidenziato che il 30,1% dei rispondenti ha cambiato centro almeno una volta, principalmente per insoddisfazione verso il medico, il centro o la gestione delle visite (47,1%) e per motivi logistici (38,2%) come la distanza o il cambio di residenza”.

 

C’è chi prende permessi e ferie

La necessità di dover fare ricorso a permessi o ferie è anche legata al mancato riconoscimento, per le persone con malattia di Fabry, di invalidità civile e benefici ai sensi della Legge 104/92. Secondo i dati raccolti, infatti solo al 9,7% dei rispondenti è stato riconosciuto lo stato di “persona con handicap grave”, Legge 104, l’unico che consente di accedere a un monte orario mensile di assenze, mentre per un ulteriore 15% lo stato riconosciuto è di “persona con handicap senza connotazione di gravità”. Inoltre, il 34,5% dei partecipanti non ha ottenuto il riconoscimento dell’invalidità civile, così come il 66,4% non ha ricevuto l’indennità di accompagnamento. Per questo, per gestire le assenze dovute alla malattia, il 24,8% dei rispondenti utilizza permessi non retribuiti, un altro 24,8% usufruisce di permessi retribuiti e il 23% utilizza le ferie. Il 12,4% dei partecipanti si organizza fuori dall’orario di lavoro, mentre l’1,8% si avvale della Legge 104 per permessi specifici.

Lavoro quasi dimezzato per molti dei pazienti

La survey del 2023, inoltre, conferma dati già emersi dalla precedente del 2018: il 43% dei rispondenti ha dovuto ridurre le ore di lavoro, mentre il 28% ha sviluppato nuove abilità per adattarsi alla situazione. Un ulteriore 28% ha abbandonato l’attività lavorativa, e un 17% ha dovuto cambiare lavoro. Un’ottimizzazione della presa in carico e un maggior coordinamento dei diversi clinici coinvolti, dunque, potrebbe essere significativamente utile anche in termini di compensazione della mancanza di questo tipo di tutele. “I dati mostrano – spiega ancora Tobaldini – che il 27,3% dei pazienti, senza grosse differenze tra le regioni, deve contattare personalmente il centro di riferimento per prenotare le visite, ma che a variare sono soprattutto le modalità di prenotazione e prescrizione, con evidenti differenziazioni tra Nord e Sud. Al Nord, il 74,2% dei partecipanti riceve prescrizioni dal medico del centro di riferimento durante la visita, mentre al Sud questa percentuale scende al 31%. Il 48,3% dei pazienti del Sud riceve le prescrizioni dal medico di medicina generale o dal pediatra, rispetto al 16,1% al Nord e al 22,9% al Centro. Queste differenze regionali evidenziano una disparità nell’accesso alle prescrizioni mediche, con un maggiore coinvolgimento dei medici di base nelle regioni meridionali (probabilmente a compensare la minore organizzazione dei centri di riferimento)”.

 

L’importanza del team multidisciplinare

“La presa in carico da parte di un team multidisciplinare – spiega il prof. Federico Pieruzzi, direttore della S.C. di Nefrologia presso la Fondazione IRCCS Ospedale San Gerardo dei Tintori a Monza e coordinatore del Comitato Scientifico di AIAF – è uno degli aspetti più importanti nella gestione della malattia di Fabry. L’ideale è rappresentato dal paziente messo al centro di un gruppo di specialisti, possibilmente esperti della patologia, che sono in grado di monitorare i vari aspetti delle manifestazioni multisistemiche”. Non a caso, i risultati della survey mostrano chiaramente che la disponibilità dei pazienti a sottoporsi a più accertamenti in un’unica giornata è alta. Il 63,7% si dichiara disposto a dedicare l’intera giornata (mattino e pomeriggio) e il 22,1% disponibile per l’intera mattinata. L’analisi statistica mostra che la disponibilità a più accertamenti in giornata non è correlata a variabili sociodemografiche o al numero di visite annue, ma è leggermente correlata al tempo di percorrenza per raggiungere il centro. In generale, i pazienti che impiegano meno tempo per raggiungere il centro sono più propensi a preferire accertamenti nella stessa giornata.

Il progetto continua…

“L’indagine ha evidenziato che i servizi considerati prioritari da almeno tre rispondenti su 10 sono: l’avere il team multidisciplinare in un unico luogo, avere la prenotazione automatica delle visite, lo svolgere visite ed esami in un’unica giornata, poter interloquire con medici e infermieri, avere un facilitatore burocratico, avere la documentazione dettagliata per le richieste di invalidità – aggiunge Stefania Tobaldini -. Abbiamo intenzione – conclude – di proseguire ulteriormente con il progetto per coinvolgere e sensibilizzare un numero significativo di centri italiani di riferimento per la patologia, al fine di arrivare a una standardizzazione della presa in carico che permetta di conciliare fattivamente la dimensione lavorativa, personale e sanitaria delle famiglie che convivono con la malattia di Fabry”.

 

 

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