Quattro bambini su cinque di coloro che vivono in questa situazione di estrema povertà sono nutriti solo con latte o riso, mais o grano. Meno del 10% con frutta e verdura. E meno del 5% con alimenti ricchi di sostanze nutritive come uova, pesce, pollame o carne
Nel mondo ci sono 181 bambini che pur non avendo compiuto il quinto anno di età devono fare i conti, ogni giorno, con uno dei drammi più terribili dell’esistenza: la povertà. Calcolatrice alla mano, vive in condizioni di estrema indigenza un bambino su quattro. Nella Striscia di Gaza la situazione è ancora più drammatica: i bambini che sopravvivono tra gli stenti sono nove su 10. Questa povertà si concentra, per il 65%, in appena 20 paesi del mondo. Entrando nel dettaglio: 64 milioni di piccoli poveri vivono in Asia del Sud e 59 milioni in Africa Sub Sahariana. A presentare questa drammatica realtà è l’Unicef, nel nuovo rapporto “Child Food Poverty: Nutrition Deprivation in Early Childhood” (Povertà Alimentare dei bambini: deprivazione nutrizionale nella prima infanzia), un’analisi scrupolosa delle conseguenze e delle cause della privazione alimentare fra i più piccoli al mondo in circa 100 paesi e tra diversi gruppi di reddito.
“Le sfide sembrano insormontabili, ma non lo sono – scrive il Direttore Generale dell’UNICEF, Catherine Russell, nella prefazione -.Porre fine a questo flagello per i bambini è una scelta politica e conosciamo già molte delle soluzioni. Il nostro Rapporto chiarisce che la povertà alimentare infantile è un fallimento dei sistemi – non un fallimento dei genitori e delle famiglie – e che il cambiamento è possibile”. In effetti, i progressi verso l’eliminazione della povertà alimentare infantile stanno già avvenendo, anche in alcuni contesti difficili.
Il documento mette in evidenza che che milioni di bambini sotto i cinque anni non possono accedere e seguire una dieta nutriente e diversificata per sostenere una crescita e uno sviluppo ottimali nella prima infanzia e oltre. Quattro bambini su cinque di coloro che vivono in questa situazione di estrema povertà sono nutriti solo con latte materno, latte e/o un alimento amidaceo di base, come riso, mais o grano. Meno del 10% si nutre di frutta e verdura. E meno del 5% con alimenti ricchi di sostanze nutritive come uova, pesce, pollame o carne. In altre parole, la maggior parte dei bimbi si nutre solo con due degli otto gruppi alimentari che servirebbero per assicurare una crescita sana ed equilibrata.
“I bambini che vivono in grave povertà alimentare – afferma la direttrice generale dell’Unicef Catherine Russell – sono bambini in bilico. In questo momento è una realtà per milioni di bambini piccoli e può avere un impatto negativo irreversibile sulla loro sopravvivenza, crescita e sviluppo cerebrale. I bambini che consumano solo due gruppi alimentari al giorno, per esempio riso e un po’ di latte, hanno probabilità maggiori fino al 50% di incorrere in qualche forma grave di malnutrizione”.
Nonostante le numerose avversità, c’è chi tenta la risalita e ci riesce. Il Burkina Faso, ad esempio, nonostante abbia dovuto affrontare molteplici sfide, tra cui l’instabilità politica e sociale, le piogge irregolari, la povertà endemica e l’insicurezza alimentare, è stato in grado di dimezzare la percentuale di bambini che vivono in condizioni di grave povertà alimentare infantile: dal 67% nel 2010 è passato al 32% nel 2021, riducendo al contempo l’arresto della crescita infantile dal 35% al 23% nello stesso periodo. “Con il sostegno dell’UNICEF, il Burkina Faso ha dato alle comunità la possibilità di migliorare le pratiche alimentari – spiega il Rapporto -, grazie in gran parte a una forza lavoro di 17mila operatori sanitari comunitari formati e a una rete di quasi 40mila gruppi di sostegno alle madri che raggiungono i genitori e gli operatori sanitari con informazioni e consulenza sull’alimentazione dei bambini”.
Il Ruanda è un’altra storia di successo. Tra il 2010 e il 2020, la percentuale di bambini in Ruanda che vivono in condizioni di grave povertà alimentare infantile è diminuita di oltre un terzo, dal 20% al 12%, un tasso di prevalenza inferiore a quello di molti paesi a medio reddito. Il rapporto dell’UNICEF descrive in dettaglio diversi fattori che contribuiscono, tra cui la leadership del governo e politiche solide, e gli investimenti nella diversificazione delle colture, concentrandosi su frutta, verdura e legumi, tra le altre misure. Il Ruanda ha anche potenziato i suoi servizi nutrizionali comunitari attraverso la sua consolidata rete di operatori sanitari comunitari (CHW) – tre in ogni villaggio di 50-100 famiglie – ciascuno formato per consigliare genitori e tutori sulle pratiche di alimentazione dei bambini. I CHW in Ruanda conducono visite a domicilio e organizzano sessioni di gruppo; Gli incentivi retribuiti basati sulle prestazioni premiano la quantità e la qualità del servizio. Anche i programmi di protezione sociale che forniscono assistenza in denaro alle famiglie povere hanno contribuito a migliorare la dieta dei bambini piccoli.
Tra il 2007 e il 2021 il Perù ha ridotto la povertà alimentare infantile complessiva dal 26% al 16% e la povertà alimentare infantile grave dal 7% al 2,7%, un’impresa che l’UNICEF attribuisce a solide politiche e azioni programmatiche e a una società civile attiva che è riuscita a sostenere l’impegno politico per la causa tra partiti e amministrazioni dal 2006.
“I bambini che vivono in condizioni di povertà alimentare infantile sono tra i bambini più indigenti e svantaggiati al mondo – dice Russell -. A loro viene negato il potere di una buona alimentazione durante il periodo della loro vita in cui conta di più. Dobbiamo mobilitare le risorse collettive dei governi, delle organizzazioni umanitarie e di sviluppo, della società civile, dei partner finanziari, delle organizzazioni accademiche e dell’industria alimentare e delle bevande per riparare i sistemi fallimentari che hanno radicato questa ingiustizia per troppo tempo”.
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