Advocacy e Associazioni 18 Aprile 2024 12:18

Oncoematologia pediatrica, il caso limite della Calabria: il 75,1% dei bambini che si ammala si cura fuori Regione

Franco De Maria, Direttore dell'Associazione Gianmarco De Maria, in un’intervista a Sanità Informazione, descrive lo stato di estrema precarietà in cui versa l’assistenza in oncoematologia pediatrica della Calabria
Oncoematologia pediatrica, il caso limite della Calabria: il 75,1% dei bambini che si ammala si cura fuori Regione

“N.d.: ‘dato non disponibile’: sono le due lettere più frequentemente presenti ne Report che fotografano la sanità alla voce “Regione Calabria”. Un dato però è sicuro: il 75,1% dei bambini calabresi che si ammala di tumore, ovvero più di tre su quattro lascia la propria casa, la propria città e la propria Regione per trasferirsi altrove in cerca di assistenza e cura qualificate (fonte AIEOP: Associazione Italiana di Emato Oncologia Pediatrica). Anche se, per essere più precisi, è l’intera famiglia a fare le valigie per intraprendere il proprio viaggio della speranza”. È così che Franco De Maria, Direttore dell’Associazione Gianmarco De Maria, in un’intervista a Sanità Informazione, descrive lo stato di estrema precarietà in cui versa l’assistenza in oncoematologia pediatrica in Calabria.

La fiducia dei cittadini  verso la Sanità della propria regione tra le più basse d’Italia

“La nostra Regione paga la pessima immagine che si è costruita negli ultimi decenni – continua De Maria -. Il commissariamento della Sanità non ha risolto alcun problema, anzi li ha peggiorati, tanto che oggi la fiducia dei cittadini calabresi verso la Sanità della propria regione è tra le più basse in Italia. Non si può quindi biasimare una famiglia che, alle prime serie difficoltà di salute del proprio figlio, dopo una visita dal pediatra, decida di rivolgersi ad ospedali più attrezzati e noti. L’esperienza maturata in Associazione mi induce ad affermare che le famiglie calabresi evitano di recarsi negli ospedali della regione perché sanno che non vi rimarranno. Eppure, abbiamo medici bravi e competenti, che sanno fare il proprio lavoro”.

Il viaggio, da quel che si lascia a quel che si trova

Chi dalla Calabria migra in altre regioni in cerca di cure migliori va ovunque trovi la giusta accoglienza: “Ho trovato famiglie calabresi in ogni ospedale che si occupa di oncoematologia pediatrica in Italia – assicura il Direttore dell’Associazione Gianmarco De Maria – . Al Bambino Gesù, ad esempio, sembra di stare in una qualsiasi città della Calabria, o del Sud Italia)”. Ovviamente, se professionalità e competenza sono caratteristiche indiscutibili dei medici e dei professionisti sanitari che lavorano negli ospedali meta della migrazione sanitaria delle famiglie calabresi, lasciare la propria casa per assicurare le migliori cure ad un figlio ammalato non è mai un’impresa facile. “L’alloggio, il lavoro, l’abbandono degli affetti sono le prime difficoltà da affrontare – racconta Franco De Maria -. Poi ce ne sono altre, apparentemente più banali, ma che compromettono ugualmente la qualità della vita: il bambino non trova più il suo giocattolo preferito, o il fumetto o il libro che stava leggendo, non può andare alla festa del suo amico, abbandona la scuola. Ancora, la mamma vive il dramma di un cancro, che avrebbe preferito fosse su di sé e invece è il figlio ad averlo. Il papà affronta le difficoltà di una famiglia spaccata, divisa e che rimane lontana. E non secondario è l’aspetto economico. Risparmi che spariscono, lavoro che si interrompe, serenità che non c’è più”, racconta ancora Franco De Maria.

La Sanità che vorrei…

Eppure, la realtà potrebbe, anzi dovrebbe, essere diversa. Per dimostrarlo il Direttore dell’Associazione Gianmarco De Maria racconta una storia realmente accaduta. Protagonisti una famiglia di un paesino del cosentino: lui elettrauto, lei casalinga, una coppia giovane, sposata da qualche anno, con due splendidi bambini. “Vivevano dignitosamente del lavoro di artigiano del capofamiglia – racconta De Maria – . Un giorno la devastante notizia della malattia della figlia più piccola. Si parte per Roma. La saracinesca dell’officina si abbassa. La mamma resterà al fianco della sua bambina e lui? Torna a casa, resta a Roma? Con tutte le difficoltà e i disagi che si possono facilmente immaginare. Questo è quello che poteva accadere. Invece, nella tragedia hanno incontrato la nostra Organizzazione e le stesse qualità e capacità di cura vicino casa. E non sono dovuti partire per Roma, la saracinesca veniva comunque alzata ogni mattina. Lo separavano solo 70 Km dalla moglie e dalla figlia. Tutte le sere poteva raggiungerla. Il fratellino poteva stare vicino alla sorellina, pur vedendola solo da una vetrata. Però, almeno, poteva starle vicino, e poteva stare vicino alla bambina anche la nonna. Il problema dell’alloggio era risolto, l’accompagnamento burocratico per i benefici di legge era garantito e facilitato dalla nostra Associazione. Per curare le patologie oncologiche esistono i protocolli, gli ospedali sono in rete, nessuno deve inventarsi niente, ci si può curare allo stesso modo a Roma come a Cosenza, o a Milano o a Bologna. È questo quello che vorremmo a cui si prestasse attenzione. E, invece, le famiglie partono, e il nostro tessuto sociale, già povero di per sé, si impoverisce sempre di più”

La speranza non è un’utopia

È dunque una realtà possibile, non utopica, quella che le famiglie dell’ Associazione Gianmarco De Maria vorrebbero veder realizzata. “Solo qualche anno fa – assicura il Direttore De Maria – le nostre famiglie  trovavano le risposte che cercavano alla malattia del figlio e potevano curarlo ‘vicino casa’. Le diagnosi erano corrette, l’accoglienza adeguata, la collaborazione con gli altri ospedali efficiente. Poi, sono arrivate le scelte incomprensibili, i tagli lineari, gli scandali in sanità che con la pediatria non centravano nulla: ospedali promessi, progettati e mai realizzati, ristrutturazioni rimaste sulla carta. Tutto questo ha contribuito a creare il clima di sfiducia che oggi conosciamo e – conclude -, a malincuore, descriviamo. Ma questa è la nostra vita, quella dei nostri figli. E non possiamo tacere”.

 

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