Il passo fondamentale per una presa in carico tempestiva del paziente con scompenso cardiaco è la diagnosi precoce. Ma uno degli ostacoli è la scarsa diffusione del test dei peptidi natriuretici NT-pro-BNP o BNP, che consentono di individuare la malattia tramite una semplice puntura sul dito. A denunciarlo è l’Associazione Italiana Scompensati Cardiaci (AISC)
Il passo fondamentale per una presa in carico tempestiva del paziente con scompenso cardiaco è la diagnosi precoce. Ma uno degli ostacoli è la scarsa diffusione del test dei peptidi natriuretici NT-pro-BNP o BNP, che consentono di individuare la malattia tramite una semplice puntura sul dito. A denunciarlo è l’Associazione Italiana Scompensati Cardiaci (AISC) che, il prossimo 10 aprile. dedicherà un convegno sull’importanza della riabilitazione cardiovascolare nel percorso di cura, presso la Sala Convegni dell’IRCCS San Raffaele Montecompatri. I test per la diagnosi precoce dello scompenso cardiaco sono standard e sono disponibili in pronto soccorso per diagnosticare la dispnea grave, ma sono utili anche per l’identificazione di pazienti con sintomi molto sfumati.
“All’inizio lo scompenso non si presenta con l’affanno o con le gambe gonfie, ma può provocare stanchezza e astenia che la persona di una certa età tende a considerare fisiologici”, spiega Salvatore Di Somma, direttore del comitato scientifico AISC/APS, docente di Medicina Interna dell’Università La Sapienza di Roma e presidente di GREAT-Italy. “In questi casi, anche l’ecocardiogramma può risultare poco significativo, mentre solo il test dei peptidi natriuretici può rivelare la presenza dello scompenso in fase precoce. Per questo è necessario l’utilizzo del test con una semplice puntura al dito anche nella medicina territoriale. Come AISC – annuncia – stiamo facendo un protocollo che prevede l’accesso a tali test anche presso i medici di medicina generale e le farmacie. Questa è la base da cui partire per ridurre mortalità e ospedalizzazioni”.
Sullo scompenso cardiaco negli ultimi anni la ricerca medica ha realizzato passi significativi ma molto lavoro va fatto ancora per la sensibilizzazione della popolazione. Lo scompenso, infatti, rappresenta in Italia la principale causa di ricovero tra gli ultra 65enni e comporta costi ospedalieri pari all’1,5% della spesa sanitaria. Nonostante ciò, la consapevolezza pubblica è ancora insufficiente. La patologia, inoltre, a cinque anni dall’insorgenza, in alcuni casi è anche più severa del cancro perché arriva a una mortalità di circa il 50% e anche le ospedalizzazioni sono un serio problema: spesso avvengono per lo stesso paziente quattro volte l’anno e ogni ricovero si accompagna ad un aumento della riduzione dell’aspettativa di vita. Le tecnologie sono d’aiuto, come nel caso di alcuni device impiantabili di elettrostimolazione e metodiche che consentono di arrivare in sicurezza al trapianto di cuore. Ma soprattutto sono stati sviluppati nuovi farmaci, molto più efficaci.
“Oggi abbiamo la possibilità di trattare in maniera adeguata lo scompenso cardiaco, riducendo la mortalità e le ospedalizzazioni”, sottolinea Di Somma. “Tra i nuovi farmaci – continua – da sottolineare vi è l’avvento dell’associazione Sacubitril-Valsartan, oltre ai betabloccanti e ai diuretici. Soprattutto, da qualche anno, sono stati resi disponibili gli SGLT2 inibitori, ipoglicemizzanti utilizzati per il controllo della glicemia che, in trial internazionali, si sono dimostrati efficaci anche nello scompenso cardiaco, riducendo la mortalità e l’ospedalizzazione. La grande novità di questi ultimi farmaci è che sono efficaci in tutte le forme di scompenso cardiaco, sia nella forma a frazione di eiezione ridotta, sia nella forma di scompenso cardiaco a frazione di eiezione conservata. Tuttavia, non sono farmaci sostitutivi, ma addizionali di quelli esistenti. Questo crea una problematica in più per il paziente che dovrà aggiungere altre pillole ogni giorno, per questo è importante renderlo consapevole del beneficio della loro assunzione, in quanto migliorano l’aspettativa di vita”.
Da pochi giorni si è conclusa la consultazione pubblica, attivata dall’Agenas, per la stesura del “Documento di indirizzo contenente indicazioni per la promozione della partecipazione e co-produzione dei pazienti, dei cittadini e della comunità nell’ambito delle Case della comunità”. “In queste realtà – spiega Di Somma – ci saranno medici di medicina generale presenti h24, specialisti ambulatoriali e infermieri. Sul territorio ci sarà una struttura ogni 40mila abitanti. Lo scompenso cardiaco è per definizione una malattia cronica, quindi è necessario che le Case di comunità diventino un presidio territoriale per ottimizzarne la gestione. Il fine è quello di domiciliare le cure e realizzare una politica sanitaria rivolta al territorio. Le Case di comunità non vedono il medico da solo, ma un team multidisciplinare e la tecnologia di screening, consentendo una risposta ai bisogni di salute. Nelle Case di comunità ci saranno anche le associazioni dei pazienti, per offrire un supporto non solo medico ma anche sociale. Per consentire l’equità, il documento di Agenas avrà un indirizzo nazionale, affinché tutte le Regioni abbiano un modello unico. In questo tentativo di creare un percorso omogeneo, dall’ospedale al territorio, anche la riabilitazione del paziente con scompenso cardiaco rappresenta un importante anello di congiunzione”.
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato