In un’intervista a Sanità Informazione, Stefania Bastianello, direttore tecnico AISLA, descrive le principali criticità che una persona affetta da SLA deve affrontare ancor prima di ricevere la diagnosi, spesso tardiva: “La SLA è una malattia complessa e come tale necessita di un’assistenza globale che comprenda sia gli aspetti sanitari che quelli sociali e psicologici”
Non c’è tempo da perdere: c’è chi ha davanti a sé anni, chi soltanto alcuni mesi. È come se ricevendo la diagnosi di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) i minuti non fossero più costituiti da 60 secondi, al massimo uno o due. E così anche le ore, i giorni, improvvisamente, si accorciano. Ma la lancetta dell’orologio non comincia a girare più velocemente solo quando arriva la diagnosi: il tempo subisce un’accelerazione, talvolta inconsapevole, quando la malattia esordisce. Il momento in cui la SLA mostra i suoi primi segni e sintomi, infatti, nella maggior parte dei casi non coincide con quello della diagnosi. “In media i pazienti affetti da Sla ricevono la diagnosi della malattia con 10-11 mesi di ritardo. Troppi per chi di tempo davanti a sé ne ha, invece, troppo poco. Ci sono persone affette da SLA che, in un breve periodo, si ritrovano ad essere completamente immobili, incapaci di comunicare, di respirare, di deglutire”, spiega Stefania Bastianello, direttore tecnico dell’Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica (AISLA), in un’intervista a Sanità Informazione.
Ma il ritardo di diagnosi, conseguenza di una scarsa presenza di personale e centri specializzati sul territorio nazionale, è soltanto la prima delle tante criticità con cui devono fare i conti le persone affette da SLA e le loro famiglie. “Una volta giunti alla certezza di questa inesorabile diagnosi i pazienti e i loro cari – dice Bastianello – devono ‘perdere’ altro tempo per orientarsi alla ricerca dell’assistenza più adeguata”. E non sempre la trovano. Ad oggi sono pochissime le Regioni (Puglia, Toscana, Lombardia, Sardegna, Sicilia) dotate di un Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) per i malati di SLA. “La Lombardia – racconta Bastianello – è l’ultima regione ad aver attivato, nel mese di novembre del 2023, un PDTA. AISLA ha partecipato attivamente alla sua stesura e credo possa essere un modello d’ispirazione per le Regioni che ancora non hanno attivato un PDTA”.
“Il PDTA lombardo prevede che la persona affetta da SLA, fin dalla fase iniziale della malattia, sia seguita da una figura di riferimento che, a seconda dei bisogni sanitari contingenti, potrà essere un neurologo, uno pneumologo o un fisiatra. Successivamente, poi, nelle fasi di complessità della patologia, fino al termine della vita, il paziente sarà affidato ad un team di cure palliative”, spiega Bastianello. E se la Lombardia, la Puglia, la Toscana, la Sardegna e la Sicilia sono le uniche Regioni ad aver attivato un PDTA, altrove dovranno essere le famiglie ad occuparsi del proprio caro ammalato. “Laddove possibile – continua l’esponente di AISLA – il domicilio deve essere considerato il luogo di cura privilegiato. Restare circondati dai propri affetti, di persone care o amici a quattro zampe, così come dalle cose che ci sono familiari, è molto importante per chi è affetto da SLA”.
Ed è la necessità di un intervento della famiglia a mettere in evidenza un’altra criticità che si affianca a quella di natura sanitaria. “La dimensione sociale, al pari di quella sanitaria non può essere trascurata – continua il direttore tecnico AISLA -. Dietro ogni malato di Sla c’è qualcuno che se ne prende cura. Nella maggior parte dei casi si tratta di un caregiver familiare che, per dedicarvisi in modo esclusivo, rinuncerà a vita professionale e sociale, oppure in alternativa chiederà il sostegno di uno o più assistenti familiari, con un investimento economico non di poco conto e non sempre per tutti sostenibile”.
Eppure, laddove ogni tassello dovesse essere collocato al suo posto, dall’assistenza sanitaria al supporto sociale, resterebbe da affrontare l’aspetto psicologico, valutando l’impatto della malattia sia sul paziente, che sulla sua famiglia. “Altro tema fondamentale quando si parla di SLA è l’autodeterminazione: a differenza di molte altre patologie la SLA pone il malato di fronte a scelte esistenziali. Chi si ammala di SLA deve scegliere tra la vita e la morte. Deve scegliere se continuare a vivere, accettando la ventilazione e la nutrizione artificiale, oppure se ritiene dignitoso per sé che il proprio percorso di vita termini prima di arrivare ad una condizione di non autosufficienza totale. Un malato di SLA, così come qualunque altro individuo si trovi nella sua medesima situazione, per prendere una decisione così importante deve averne gli strumenti ed il tempo necessario. Per questo – commenta il direttore tecnico AISLA -, fin dalle fasi inziali della malattia, deve essere avviato un processo di comunicazione chiaro, evitando che una scelta così decisiva debba essere presa in una condizione di emergenza”.
Tutto questo percorso, dall’assistenza sanitaria adeguata, al sostegno sociale, fino al percorso comunicativo, potrebbe essere agevolato dalle cure palliative che, oggi, pur essendo sancite dalla legge 38 del 2010 concernente “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”, sono garantite solo ad una piccolissima percentuale di pazienti. “Ancora oggi a distanza di quasi 15 anni dall’approvazione di questa legge, riescono ad accedere alle cure palliative soprattutto i malati oncologici. Tutti coloro che sono affetti da malattie degenerative e incurabili, come la SLA, vengono considerati pochissimo. Invece questa patologia complessa ha bisogno di un percorso assistenziale altrettanto complesso che – conclude Bastianello – potrà essere garantito solo quando tutte le leggi e normative già in essere saranno pienamente operative e quelle in attuazione vedranno completato il proprio iter”.
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