Dal 27 settembre prende il via la campagna ‘Parlami di te’ per sfatare alcuni miti: “Parlarne non insinua l’idea nel soggetto a rischio, anzi dà a lui modo di aprirsi”
Dietro ad ogni persona che si toglie la vita, se ne celano almeno altre 10 che hanno tentato il suicidio, ma sono sopravvissute. Si tratta di soggetti ad altissimo rischio: chi non riesce al primo tentativo, se non adeguatamente aiutato, spesso ci riprova. Eppure, nella maggior parte dei casi, per cambiare il destino di questi individui basterebbe parlarne. Ed è proprio su questo presupposto che si basa la campagna ‘Parlami di te‘, che ha l’obiettivo di spiegare che il suicidio è, in molti casi, prevenibile. In Italia, nel 2021, 3.870 si sono tolte la vita, a fronte dei 3.748 del 2020, con un incremento più elevato tra gli under 49. E i tentativi di suicidi sono difficili da mappare, ma si stima siano dieci volte tanto.
“Dietro la scelta di farla finita ci sono molti fattori – chiarisce Maurizio Pompili, ordinario di Psichiatria della Sapienza Università di Roma e direttore Uoc Psichiatria dell’Ospedale Sant’Andrea -. La depressione grave contribuisce, ma pesano anche traumi infantili, problemi economici, bullismo, insonnia, eventi destabilizzanti. Le categorie più a rischio sono i giovani, ma anche gli anziani, chi ha gravi problemi economici, chi perde un coniuge, i detenuti e i veterani. Ci sono però fattori protettivi, ovvero la fede religiosa, lo sport e le reti sociali, come la famiglia, gli amici e la scuola”. In generale quello che conta è parlarne il più possibile.
Attenzione però alle parole da utilizzare. “Spesso il tema arriva sui giornali con titoli che insistono sul sensazionalismo e i dettagli – osserva Kelly Posner Gerstenhaber, professoressa di psichiatria alla Columbia University -, mentre non si parla del fatto che a causare il suicidio è un dolore mentale. Lo stigma porta al silenzio e il silenzio uccide. Per far venire fuori la fragilità basta spesso una domanda. Invece il 50% di chi tenta il suicidio non ha mai visto uno psicologo o uno psichiatra”. Presentata a Roma, sulla scia di quella lanciata dall’Organizzazione mondiale della Sanità, la campagna ‘Parlami di te’ partirà il 27 settembre e aiuterà a sfatare alcuni miti.
Innanzitutto, “parlarne non insinua l’idea nel soggetto a rischio, anzi dà a lui modo di aprirsi”, commenta Pompili. Altro mito da sfatare è che il suicidio sia una scelta razionale, “non lo è nella maggioranza dei casi, anzi nasce dalla sensazione di non vedere una via d’uscita di fronte alla sofferenza”. Chi lo fa, inoltre, crede di non poter essere aiutato, ma non è così: “ci sono farmaci efficaci ma ancora poco utilizzati, per paura, pregiudizio e poca conoscenza. Ma, accanto alla farmacoterapia, è indispensabile la psicoterapia”. Infine l’altro falso mito è che sia un gesto improvviso: “è in genere a lungo premeditato e connotato da segnali da decifrare”. Uno strumento utile a individuarli è stato messo a punto dalla Columbia University e permette di effettuare uno screening attraverso sei domande. Potrebbe essere utilizzato su larga scala anche dai medici di medicina generale per individuare chi è a rischio e indirizzarlo verso cure adeguate.
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