Sono quasi 3.500 le diagnosi di colangiocarcinoma effettuate in fase avanzata, ogni anno, in Italia. Rappresentano ben il 70% del totale dei casi, nel 2024 erano 4.971. Il colangiocarcinoma è una forma di neoplasia particolarmente aggressiva, ma grazie alla ricerca sono stati compiuti progressi importanti, rappresentati dall’immunoterapia e dalle terapie mirate, che permettono di controllare la malattia con una buona qualità di vita. Resta però ancora troppo bassa la percentuale di diagnosi in fase precoce, quando vi sono reali possibilità di guarigione. I passi avanti della ricerca devono essere accompagnati da un cambiamento culturale, a partire dalla sensibilizzazione dei medici del territorio, perché sappiano riconoscere i primi segni della neoplasia e indicare ai pazienti i centri di riferimento. Per questo APIC, l’Associazione Pazienti Italiani Colangiocarcinoma, promuove un progetto di informazione per aumentare la conoscenza della malattia, con un ciclo di incontri indirizzati ai medici di famiglia, il primo previsto a Firenze il 22 febbraio. Non solo. L’Associazione ha istituito un fondo per erogare un contributo di 60 euro a ogni cittadino che, su indicazione del medico di famiglia, debba eseguire un’ecografia addominale. Inoltre, APIC sostiene la ricerca con il finanziamento di un bando di 60mila euro, riservato a medici, biologi e farmacologi under 40, e un premio finale di 15mila euro. APIC presenta le principali iniziative a pochi giorni dalla Giornata mondiale sulla patologia, il World Cholangiocarcinoma Day, che si celebra il 20 febbraio.
“È importante migliorare il livello di conoscenza di questa neoplasia rara, ma molto aggressiva – afferma Paolo Leonardi, Presidente APIC -. Con il ciclo di incontri, che saranno sia in presenza che online e vedranno la partecipazione di oncologi e chirurghi esperti, vogliamo sensibilizzare i medici di famiglia. Talvolta basta una semplice alterazione di un esame di laboratorio ad indurre un sospetto da approfondire. Possono trascorrere sei mesi dalla comparsa dei primi sintomi alla diagnosi certa di colangiocarcinoma. È fondamentale abbreviare i tempi, per salvare più vite. Sempre nell’ottica di incrementare le diagnosi in fase iniziale, abbiamo istituito un fondo, che ad oggi ammonta a 12mila euro e potrà essere incrementato in base alle richieste, per aiutare le persone che si sottopongono a un’ecografia addominale, esame di primo livello che può eventualmente orientare a ulteriori approfondimenti che portino alla diagnosi. Questa analisi deve essere condotta da un ecografista esperto di patologie del fegato e i malati spesso sostengono spese di tasca propria, oltre al ticket, ad esempio per i trasporti. Sulla base della richiesta del medico di medicina generale di eseguire l’ecografia addominale e della fattura inviate alla nostra Associazione, offriamo a ogni paziente un contributo di 60 euro. APIC è nata nel 2019 per aiutare i cittadini ad accedere a informazioni certificate e per promuovere gli studi su questo tumore ancora poco conosciuto – continua Leonardi -. Sosteniamo un bando di ricerca di 60mila euro, per medici, biologi e farmacologi under 40. Possono partecipare ricercatori da tutta Italia e la scadenza è il 30 aprile. È inoltre previsto un premio finale di 15mila euro al giovane che ha svolto la ricerca”.
“Il colangiocarcinoma è un tumore raro, rappresenta il 3% dei tumori del tratto gastroenterico e ha origine dai dotti biliari, i canali che trasportano la bile dal fegato all’intestino – spiega Lorenza Rimassa, Professore Associato di Oncologia Medica all’Humanitas University e IRCCS Humanitas Research Hospital di Rozzano, Milano -. Si distingue in base alla sede d’insorgenza in intraepatico, se si sviluppa all’interno del fegato, ed extraepatico, a sua volta suddiviso in peri-ilare e distale, se nasce dalle vie biliari extraepatiche. Tra i tumori delle vie biliari vi sono anche i tumori della colecisti. Le forme intraepatiche rappresentano il secondo più frequente tumore primitivo del fegato e possono manifestarsi in pazienti affetti da malattie delle vie biliari, come la colangite sclerosante primitiva. Le forme extra-epatiche e della colecisti possono essere correlate alla presenza di calcoli biliari. Nella maggior parte dei casi non si conoscono però i fattori di rischio associati all’insorgenza del colangiocarcinoma. Nei Paesi occidentali sono in aumento i colangiocarcinoma intraepatici, su cui incidono anche gli stili di vita scorretti. Tra i fattori di rischio, infatti, vi sono la sindrome metabolica, l’obesità, la steatosi e cirrosi epatica, l’epatopatia cronica, il consumo di alcol, il fumo di sigaretta e l’esposizione a sostanze chimiche cancerogene, a tossine e a vari agenti ambientali come diossine, nitrosamine, radon e amianto. Il colangiocarcinoma intraepatico, di solito, è asintomatico per lungo tempo e i sintomi iniziali, ad esempio dolore addominale, perdita di peso, nausea, malessere, non sono specifici. Le forme extraepatiche sono spesso caratterizzate da ittero con urine scure, feci biancastre e prurito, per l’aumento dei livelli di sali biliari nel sangue. Il percorso che porta alla diagnosi è complesso e spesso tardivo, ma sarebbe più facile se si cogliessero precocemente i segni di sospetto. Per questo vanno sensibilizzati anche gli altri specialisti e i medici di famiglia, perché siano in grado di cogliere i primi segni o sintomi sospetti”.
“La chirurgia rappresenta ancora l’unica possibilità di sopravvivenza prolungata e anche di guarigione dei pazienti che possono essere operati – sottolinea Felice Giuliante, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Epato-Biliare alla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli, IRCCS, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma –. Il problema è che spesso la diagnosi è tardiva, perché non c’è una popolazione a rischio nella quale prevedere esami di screening, come avviene per altre patologie, per ottenere una diagnosi in stadio iniziale. Per questo motivo soltanto il 25% dei pazienti può essere candidato alla chirurgia. Inoltre quando è possibile fare un intervento chirurgico, sia nel caso di colangiocarcinoma intraepatico che di colangiocarcinoma peri-ilare, si tratta comunque di resezioni cosiddette ‘maggiori’. Si tratta perciò di malati che vanno indirizzati sempre a centri esperti, nei quali vi siano non solo tutte le competenze chirurgiche necessarie, per la resezione e per il trapianto, ma anche le competenze oncologiche, radiologiche sia diagnostiche che interventistiche, endoscopiche, epatologiche e di laboratorio, in altre parole centri che possano farsi carico completamente dell’iter diagnostico e teraputico di queste persone. Un aspetto molto recente, che avrà sicuramente sempre più spazio in un prossimo futuro, è la possibilità di mettere in atto terapie prima della chirurgia, che possano rendere operabili pazienti che inizialmente non lo sono – continua il Prof. Giuliante -. Questi trattamenti vanno discussi e programmati nel contesto di gruppi multidisciplinari dedicati a questi pazienti, personalizzando i trattamenti, possibilmente nell’ambito di studi clinici, e ancora una volta tutto questo può essere effettuato in centri di riferimento per questa patologia. È questa una storia che ha già caratterizzato il miglioramento dei trattamenti per altre patologie e che anche per il colangiocarcinoma si ripeterà, man mano che crescerà la disponibilità di farmaci e di procedure sempre più efficaci, che porteranno a poter operare pazienti che oggi non possono esserlo. Già oggi la possibilità di ridurre la malattia è una realtà che riguarda alcuni pazienti, che vanno quindi accuratamente individuati garantendo la corretta profilazione molecolare, per individuare quelle caratteristiche molecolari per le quali sono già disponibili farmaci specifici”.
Per i pazienti con malattia non operabile in stadio avanzato, fino a poco tempo fa era disponibile solo la chemioterapia. “Le prospettive sono cambiate, perché oggi i clinici possono utilizzare diversi strumenti – afferma la Prof.ssa Rimassa -. L’immunoterapia in combinazione con la chemioterapia è in grado di migliorare la sopravvivenza, con una riduzione del rischio di progressione di malattia e un miglior tasso di risposte, senza alterare la qualità di vita. In questi anni, inoltre, è stata dedicata molta attenzione alla caratterizzazione molecolare. Quasi la metà dei pazienti con colangiocarcinoma presenta un’alterazione genetica, che può diventare un potenziale bersaglio di terapie mirate”. In base alle linee guida internazionali, incluse quelle della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), la profilazione molecolare attraverso la tecnologia NGS, Next-Generation Sequencing, è raccomandata al primo riscontro di malattia in stadio avanzato (metastatico o localmente avanzato) non suscettibile di chirurgia. “Vi sono ancora alcune criticità da superare – spiega Giovanni Brandi, già Direttore della Scuola di Specializzazione di Oncologia Medica all’Università di Bologna, fondatore di APIC e del Gruppo Italiano Colangiocarcinoma (GICO) -. A dicembre 2022, anche in seguito alle richieste di APIC, è stato istituito un fondo per il triennio 2023-2025, pari a 200mila euro all’anno, per consentire ai pazienti colpiti da colangiocarcinoma l’accesso ai test NGS. Questo fondo, in realtà, è insufficiente a coprire i circa 5000 cittadini che ogni anno in Italia ricevono la diagnosi. Alcune Regioni, come Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia, si sono attivate per colmare queste lacune. Inoltre, ai pazienti trattati in centri di riferimento questi esami vengono garantiti, ma in altre strutture non sono eseguiti o sono previsti tardivamente rispetto a quanto raccomandato. In Italia, quindi, manca ancora una governance per i test NGS, con differenze territoriali nelle cure”.
“Inoltre si dovrà procedere ad una maggior omogeneizzazione dei test nei vari centri italiani – sottolinea il Prof. Brandi -. Questo aspetto è suggerito dal fatto che almeno per una delle alterazioni più frequenti, cioè le translocazioni di FGFR2, sia stata rilevata una discrepanza tra la prevalenza dell’alterazione nelle casistiche internazionali, valutate con un test omogeneo, e quanto rilevato in diverse entità italiane. La ricerca nel campo dei farmaci a bersaglio molecolare è molto attiva, ma rimane comunque insoddisfacente per i pazienti. Infatti, a fronte di circa il 45% dei pazienti con colangiocarcinoma intraepatico che presentano un potenziale bersaglio per questi farmaci, poco più del 10% dei pazienti con colangiocarcinoma intraepatico, e ancor meno con colangiocarcinoma extraepatico, risultano attualmente adatti ad essere trattati con farmaci specifici già utilizzabili e prescrivibili. Questo dipende dal fatto che, prima di essere prescrivibili, occorre uno studio clinico adeguato, che ne dimostri sicurezza ed efficacia nel nostro setting specifico di malattia. Per questo sarebbe auspicabile maggiore disponibilità e sviluppo di trial in agnostico che, condotti su numeri adeguati di pazienti, permettano di avere una ragionevolezza di efficacia, in modo tale da accorciare i tempi di impiego di questi farmaci. Abbiamo esempi di farmaci già testati con queste modalità, con numeri di pazienti e risultati adeguati e che tuttavia non sono prescrivibili nei pazienti con colangiocarcinoma, mentre lo sono storicamente in altre patologie – continua il Prof. Brandi -. Per questo motivo le associazioni pazienti, in qualità di primi interessati, dovrebbero confrontarsi attivamente con le company farmaceutiche e con le agenzie regolatorie. Infine, non bisogna mai dimenticare che la gestione del colangiocarcinoma è una sfida molto complessa, che può essere condotta al meglio solo in centri altamente specializzati, che possiedano l’insieme degli expertise necessari alla gestione ottimale. Questo è fondamentale soprattutto nell’inquadramento iniziale del paziente, dove non occorre mai dimenticare la relazione indissolubile che deve esistere tra l’oncologo e gli altri esperti, il chirurgo in particolare”.
“L’Associazione Pazienti Italiani Colangiocarcinoma collabora con un gruppo di specialisti in uno sforzo multidisciplinare di approccio alla neoplasia – conclude Paolo Leonardi -. È necessario tener conto anche degli aspetti psicologici, nutrizionali, della terapia del dolore e della riabilitazione. In particolare, organizzeremo webinar mensili sull’importanza del supporto psicologico, che è garantito nella maggior parte degli ospedali ma troppo spesso è lasciato in secondo piano quando il paziente torna a casa”.
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