L’esposizione cronica alle particelle inquinanti dell’aria, note come PM2.5, può aumentare il rischio di ricovero ospedaliero per gli anziani a causa di diverse malattie cardiovascolari. Questi sono i risultati di uno studio condotto dall’Harvard T.H. Chan School of Public Health e pubblicato sulla rivista British Medical Journal
L’esposizione cronica alle particelle inquinanti dell’aria, note come PM2.5, può aumentare il rischio di ricoveri ospedalieri per gli anziani a causa di diverse malattie cardiovascolari. Questi sono i risultati di uno studio condotto dall’Harvard T.H. Chan School of Public Health e pubblicato sulla rivista British Medical Journal. “Non esiste una soglia sicura per l’effetto cronico del particolato fine Pm2,5 sulla salute cardiovascolare”, sottolineano i ricercatori, tra i quali figura anche una scienziata italiana esperta di biostatistica, Francesca Dominici. Il lavoro stima le associazioni tra l’esposizione cronica a questo tipo di polveri sottili e il rischio di un primo ricovero ospedaliero per sottotipi di malattie cardiovascolari maggiori.
I ricercatori sottolineano che, pur non esistendo una soglia sicura di esposizione, “benefici sostanziali potrebbero essere ottenuti attraverso l’adesione alle linee guida sulla qualità dell’aria dell’Organizzazione mondiale della sanità”. Quello condotto da Yaguang Wei del Dipartimento di Salute ambientale dell’Harvard T.H. Chan School of Public Health e colleghi è uno studio di coorte basato sulla popolazione. Sono stati presi in considerazione i dati di una coorte di 59.761.494 di adulti degli Usa, beneficiari del programma Medicare di età uguale o superiore a 65 anni che si erano iscritti a servizi a pagamento nel periodo 2000-2016. Le previsioni calibrate di Pm 2.5 sono state collegate al codice postale residenziale di ciascun partecipante come misurazioni proxy dell’esposizione. Dall’analisi è emerso che l’esposizione media di 3 anni al PM2.5 è stata associata a un aumento del rischio relativo di primi ricoveri ospedalieri per cardiopatia ischemica, malattia cerebrovascolare, insufficienza cardiaca, cardiomiopatia, aritmia e aneurismi dell’aorta toracica e addominale.
La curva esposizione-risposta ha mostrato un aumento del rischio associato a Pm2,5. Su scala assoluta il rischio di ricovero ospedaliero per queste patologie cardiovascolari è aumentato dal 2,59% associato a esposizioni uguali o inferiori ai 5 microgrammi per metro cubo (indicato dalle linee guida sulla qualità dell’aria dell’Oms) al 3,35% con esposizioni comprese tra 9 e 10 microgrammi/m 3 (fascia in cui era compresa la media nazionale statunitense durante il periodo di studio, pari a 9,7). Gli effetti persistevano per almeno 3 anni dopo l’esposizione al PM2.5. E un altro elemento rilevato dai ricercatori è che l’età, l’istruzione, l’accessibilità all’assistenza sanitaria e il livello di deprivazione del quartiere sembravano modificare la suscettibilità al Pm 2,5.
“I tempi del nostro studio non potrebbero essere più critici e le sue implicazioni sono profonde”, afferma l’autore principale dello studio Yaguang Wei, ricercatore associato presso il Dipartimento di Salute Ambientale di Harvard. “I nostri risultati quantificano i vantaggi derivanti dall’attuazione di politiche di controllo dell’inquinamento atmosferico più rigorose, addirittura più rigorose dei nuovi standard dell’Environmental Protection Agency, che sono notevolmente superiori allo standard di 5 microgrammi per metro cubo stabilito dall’Organizzazione mondiale della sanità”, conclude.
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