Lo studio DeprAir coordinato da Michele Carugno ha evidenziato come la qualità dell’aria possa influenzare negativamente la salute mentale fino a comportare cambiamenti biologici nell’organismo tale da aumentare la vulnerabilità e sviluppare sintomi depressivi
Depressione, infarto e ictus, oltre ai già ben noti danni polmonari, sono queste le principali conseguenze a cui si rischia di andare incontro se l’asticella dell’inquinamento che ci è costata anche una multa dalla Corte Europea continuerà a restare alta. A confermarlo sono diversi studi come spiega Michele Carugno professore associato presso il dipartimento di scienze cliniche dell’Università degli studi di Milano.
«Ci sono alcuni effetti sulla salute a breve e lungo termine – analizza Carugno –, in particolare sono ormai consolidati gli studi sugli effetti cardiovascolari, sia per quanto riguarda l’ictus che per l’infarto del miocardio, così come per le patologie respiratorie, sia acute che croniche: polmoniti, ma anche broncopneumopatie croniche ostruttive e cancro del polmone. Infatti, l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha classificato ormai da qualche anno il particolato e gli scarichi dei motori diesel cancerogeni per l’uomo».
Nell’ultimo decennio il livello di inquinamento ambientale è diminuito, ma non basta. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato ancora 7 milioni di decessi l’anno, per patologie respiratorie e cardiovascolari riconducibili all’inquinamento atmosferico, mentre secondo un report dell’Agenzia Europea dell’ambiente 300 mila decessi in Europa si verificano prematuramente per il particolato fine (PM2,5) e 40 mila per il biossido di azoto. In Italia ad avere maggiori problemi è il nord, perché l’arco alpino impedisce alle perturbazioni atlantiche di raggiungere la Pianura Padana e pulire l’aria con conseguenze che iniziano a manifestarsi già durante la gravidanza. «Ci sono evidenze in fase di consolidamento che riguardano effetti avversi per esposizione durante la vita intrauterina – sottolinea – per cui alcuni studi suggeriscono associazioni con basso peso alla nascita, parto pretermine e alterazioni su sviluppo neuro cognitivo nei bambini».
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Anche in età adulta i danni sono evidenti e si manifestano con malattie metaboliche, in particolare diabete mellito di tipo 2, mentre il nuovo studio DeprAir, di cui il professor Carugno è responsabile scientifico, pone l’accento sulle conseguenze dell’inquinamento atmosferico nella psiche «Ci sono evidenze crescenti in letteratura e noi stiamo cercando di dare il nostro contributo per dimostrare il legame tra inquinamento atmosferico e depressione. In Lombardia, e in particolare a Milano, stiamo reclutando un numero di soggetti affetti da disturbi depressivi che afferiscono all’unità operativa di psichiatria del Policlinico. Attraverso le analisi abbiamo visto che esiste una connessione tra diversi inquinanti atmosferici, sia particolati che gassosi, e l’aumentata frequenza del disturbo depressivo. Fino ad oggi abbiamo reclutato circa 300 soggetti e stiamo producendo dei risultati che sembrano suggerire che in particolare gli inquinanti gassosi, come il biossido di azoto è in grado di peggiorare la sintomatologia depressiva e di condizionarne la gravità in soggetti già affetti».
Per arginare gli effetti dell’inquinamento ambientale sulla salute dell’uomo il referente scientifico dello studio DeprAir ritiene si debba agire su più fronti: «Con progetti congiunti – spiega Carugno – come già accade con “Lifeprepair” un lavoro che vede coinvolte sei regioni del nord Italia, che in qualche modo intercettano la Pianura Padana, e diverse agenzie italiane per la protezione ambientale per mettere a punto corsi di formazione ed interventi ad hoc mirati ad una mobilità sostenibile per migliorare la qualità dell’aria. Poi occorre investire e progettare aree urbane più green con edifici a basso impatto energetico, nell’ottica di arrivare al 2030 con una riduzione importante del livello di inquinamento delle città».
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