Botta e risposta con Paolo D’Ancona, epidemiologo delle malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha detto durante uno dei suoi ultimi dibattiti pre-elettorali che l’85% delle persone che indossavano le mascherine sono comunque state contagiate dal coronavirus. Per rispondere a questa affermazione Sanità Informazione ha intervistato Paolo D’Ancona, epidemiologo delle malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità.
«Non direi proprio. Le mascherine chirurgiche sono uno dei presidi medici utilizzati per proteggersi dal Covid anche durante l’assistenza medica. Le persone si contagiano perché non rispettano tutte le altre misure di prevenzione. Anche il bere un caffè senza la mascherina può diventare una occasione di contagio se non rispettiamo ad esempio le distanze. In questo periodo la maggior parte dei contagi avviene in famiglia dove non indossiamo la mascherina: certamente è impensabile utilizzare la mascherina anche a casa, quindi dobbiamo essere prudenti e cercare di non fare entrare il virus in casa attraverso contagi avvenuti in altri momenti della giornata, dove non utilizziamo la mascherina, o tramite altre modalità di contagio (ad esempio attraverso le mucose oculari)».
«Prima regola, indossarla correttamente: deve coprire dal naso al mento e tutta la bocca. E deve essere possibilmente aderente. Gli errori sono indossare una mascherina che non si adatta bene al nostro viso, toccare la superficie esterna con le mani che useremo per toccare altri oggetti o addirittura gli occhi, mettersi la mascherina in tasca o in altro luogo senza rispettare l’igiene e comunque facendo toccare la parte esterna (potenzialmente contaminata) ad altri oggetti personali. Ad esempio, meglio poggiare la parte esterna su un foglio di carta quando si poggia la mascherina usata sulla propria scrivania».
«Le chirurgiche vanno usate tutte le volte che vogliamo essere sicuri della protezione: persone fragili, luoghi particolarmente affollati, assistenza a persone malate o anziani, sui mezzi pubblici, dove le persone gridano, luoghi chiusi piccoli in presenza di altre persone. Queste mascherine certificate ci danno una certezza. Esistono anche quelle certificate di stoffa lavabili, l’importante è che riportino sulla confezioni le norme UNI EN 14683 (mascherine chirurgiche) o quella EN149 (filtranti facciali come le FFP2 o FFP3). Le mascherine di comunità (quelle non certificate) possono essere usate in tutte le altre occasioni con minor rischio, in cui riusciamo a mantenere le distanze».
«Bisogna considerare i due aspetti: l’igiene generale (non si può mettere in tasca qualcosa che poi va nella nostra bocca) e la possibile contaminazione della parte esterna. Una bustina, un contenitore di plastica, un quaderno sono delle possibilità, ma la parte potenzialmente contaminata va ripiegata su se stessa. E se usiamo un contenitore riciclabile va lavato anch’esso con un po’ di sapone».
«Premetto che per mangiare e bere la principale cautela è rispettare la distanza con le altre persone; riguardo la mascherina basta prenderla dagli elastici. L’importante è non poggiare il lato che metteremo verso la bocca su una superficie che potrebbe essere contaminata».
«Le mascherine chirurgiche con l’umidità del respiro perdono gradualmente la loro funzionalità. Convenzionalmente si è sempre indicato quattro ore in ambito professionale cioè di assistenza sanitaria. Nell’ambito comunitario, per il tipo di uso e per il tipo di rischio, si può pensare di utilizzarla anche per più ore. Bisogna però cambiarla se si è sia bagnata, rovinata, sporcata, o contaminata».
«Assolutamente no. Perdono le loro caratteristiche. Non esistono al momento procedure standardizzate di riuso dopo trattamento, neanche con soluzioni alcoliche».
«Professionalmente una sola volta. In comunità non c’è un limite ben preciso nell’arco della giornata, perché dipende da come viene rimossa, conservata e rimessa. Non è solo una questione di contaminazione con il virus SARS-CoV-2, ma anche una questione igienica. Si tratta di qualcosa che mettiamo a contatto con la nostra bocca. Più passa il tempo più rischia di sporcarsi».
«L’umidità del respiro fa perdere allo stato filtrante della mascherina (quello che in genere sta in mezzo) parte della sua funzionalità. L’effetto barriera viene conservato, ma non si tratta più di quello ottimale. Il problema è anche comunque igienico perché sulla mascherina possono depositarsi altri batteri».
«Le mascherine in stoffa possono essere certificate oppure di comunità. Per le prime bisogna seguire le indicazioni del produttore in termini di lavaggi, per le seconde non c’è limite, perché si tratta di oggetti che hanno una mera funzione di barriera più o meno efficace. Direi che vanno cambiate quando il tessuto mostra cedimento e lascia passare l’aria troppo facilmente».
«Anche qui, se sono certificate bisogna seguire le istruzioni del produttore. Se sono di comunità dipende dal tessuto. Idealmente in lavatrice a 60° oppure un lavaggio a mano seguito da una buona stiratura, oppure un lavaggio con un prodotto disinfettante per tessuti. L’importante è lavarle almeno ogni giorno oppure quando pensiamo di essere stati troppo vicini ad altri».
«Oltre all’evidente problema igienico, aumentano i rischi di una contaminazione da SARS-CoV-2. Infatti le mascherine hanno anche un effetto barriera contro eventuali goccioline che trasportano virus emessi dalle persone vicino a noi. Se incontrassimo una persona malata la mascherina ci proteggerebbe. Però toccando una mascherina contaminata, mettendola in tasca, riponendola a casa e non lavandola, c’è il rischio che con le continue manipolazioni contaminiamo non solo le nostre mani, ma anche il lato che poggiamo sulla bocca, il che ovviamente causerebbe una infezione».
«Assolutamente no. Le mascherine chirurgiche sono stata progettate per farci respirare in sicurezza. Le altre mascherine dette filtranti facciali come la FFP2 o la FFP3 sono ugualmente sicure, ma a causa della totale filtrazione dell’aria in inspirazione, rendono la respirazione più faticosa».
«Assolutamente si. Ovviamente questo può accadere sia sulla parte interna della mascherina che su quella esterna. Ci sono persino studi che hanno permesso di studiare la qualità dell’aria attraverso batteri e funghi depositati sulle mascherine dei lavoratori. All’interno della mascherina il deposito di batteri può altresì avvenire e le condizioni umide possono addirittura facilitarne la crescita».
«Ci sono diversi studi che provano che in emergenza possono essere riutilizzate nel settore professionale, ma con sostanze e apparecchiature normalmente non di uso domestico. Le soluzioni alcoliche non sono adeguate. Sconsiglierei quindi la pratiche di igienizzazione fai-da-te…».
«Deve essere il datore di lavoro a fare una valutazione del rischio e decidere quale distanza tra le postazioni, in quali condizioni lavorative e che tipo di dispositivi di protezione. Quindi non c’è una regola fissa perché non tutti i lavori sono uguali. Tuttavia ricordiamo che le mascherine chirurgiche (e quelle di stoffa certificate) offrono una protezione affidabile, quelle di comunità invece non possono garantire alcun livello preciso».
«Sicuramente la parte rigida fa da barriera. L’importante è che rispettino gli altri criteri: permettono una buona respirabilità attraverso i filtri? Sono questi abbastanza spessi da filtrare l’aria? Sono aderenti al viso? Sono facilmente lavabili? Sono questi i criteri che dobbiamo guardare. Comunque anche in questo caso bisognerà cambiare i filtri secondo la raccomandazione del produttore».