Una malattia complessa e poco conosciuta, che condiziona la qualità e i progetti di vita. In un Manifesto le priorità dei pazienti per migliorare l’assistenza e uscire dall’isolamento
Un Manifesto in cinque punti per accendere i riflettori sul Lupus Eritematoso Sistemico (LES) e migliorare la presa in carico e cura delle persone che ne sono affette: è l’iniziativa promossa dal Gruppo LES Italiano ODV, l’Associazione di pazienti più rappresentativa per questa patologia in Italia, e indirizzata alle istituzioni sanitarie.
Cinque raccomandazioni per sollecitare risposte concrete agli oltre 60mila italiani colpiti dal Lupus, per il 90% donne, con un’incidenza tra i 20-45 anni, che ogni giorno vivono sulla propria pelle i disagi di una malattia cronica autoimmune, complessa e invalidante, ma ancora poco visibile, contrassegnata da ritardi e disomogeneità assistenziali che condizionano le scelte di vita professionale e affettiva, incluso il desiderio di maternità.
Tra le priorità ci sono un maggiore coinvolgimento dei medici di medicina generale per arrivare a diagnosi corrette nel più breve tempo possibile, il diritto all’accesso alle terapie innovative e una presenza omogenea dei Centri di riferimento sul territorio nazionale. E ancora: l’organizzazione di una presa in carico multidisciplinare e l’assistenza psicologica, ad oggi del tutto assente. Infine, la necessità di aumentare l’informazione tra i cittadini e il personale sanitario, e di favorire la partecipazione attiva dei pazienti ai processi decisionali.
«Quando si scopre di avere il Lupus, la vita va completamente riprogettata. Le pazienti, colpite nel periodo della massima espressione lavorativa, sociale e familiare, devono fare i conti con una patologia sistemica, poco conosciuta, e lottano contro una sensazione di forte isolamento derivante dalla difficoltà di spiegare a chi sta intorno l’impatto della malattia sulla quotidianità – spiega Rosa Pelissero, Presidente del Gruppo LES. La diagnosi giunge dopo un peregrinare di anni da uno studio medico all’altro, durante il quale il paziente non viene né ascoltato né capito. E quando la diagnosi arriva, si presentano altri ostacoli per accedere alle cure e trovare un centro di riferimento multidisciplinare dove essere presi in carico nelle diverse manifestazioni della malattia. Non tutte le regioni viaggiano alla stessa velocità».
«La politica deve partire dall’ascolto di chi vive le difficoltà quotidiane di una malattia cronica che tocca la dimensione psicologica e sociale – commenta Andrea Costa, Sottosegretario di Stato alla Salute. Per dare risposte concrete ai pazienti, è necessario individuare percorsi di presa in carico condivisi e uniformare l’accesso alle cure e ai servizi sociosanitari sul territorio nazionale».
«Le donne colpite dal LES hanno un coraggio umano e sociale straordinario, convivendo con una patologia multiorgano che tocca l’intera esistenza e che quindi richiede non solo farmaci specifici ma una Rete di interventi coordinati tra di loro, che rispondano all’esigenza di vivere una vita il più normale possibile, di realizzare il desiderio di far famiglia, di lavorare – afferma Paola Binetti, Componente 12a Commissione Igiene e Sanità del Senato. Bisogna costruire modelli organizzativi che garantiscano servizi accessibili a ogni paziente, ovunque si trovi, in qualsiasi momento».
Il LES è una malattia autoimmune a carattere sistemico dovuta a un’attivazione incontrollata del sistema immunitario che può causare danni di tipo infiammatorio a carico di tessuti e organi tra cui la pelle, le articolazioni, i reni, il cuore, il cervello. È soprannominato il “grande mimo” proprio per la capacità di coinvolgere diversi organi e di presentarsi con una grande varietà di manifestazioni cliniche che rendono molto difficoltosa una corretta diagnosi.
«I pazienti arrivano dal reumatologo con un ritardo medio tra 1 e 2 anni dall’esordio della malattia. Il ritardo diagnostico ha un impatto negativo sulla prognosi, in quanto la diagnosi precoce consente di instaurare tempestivamente il trattamento farmacologico, evitando danni agli organi interessati – spiega Gian Domenico Sebastiani, Direttore della UOC Reumatologia, Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma. C’è bisogno di un maggior coinvolgimento dei medici di medicina generale per riconoscere tempestivamente i sintomi di allarme che annunciano il LES e che necessitano di un referral specialistico. Ma c’è anche bisogno di esperti sul territorio, a livello di ambulatori e di ASL, che facciano da cerniera tra i medici di famiglia e i centri specialistici».
«Oggi abbiamo a disposizione numerose armi per curare il Lupus, ma di fondamentale importanza resta la diagnosi precoce per poter curare il paziente nelle fasi iniziali della malattia e per meglio prevenire il danno d’organo – dichiara Marcello Govoni, Direttore Reumatologia, AOU Arcispedale S. Anna di Ferrara. Il LES è una malattia complessa che richiede una gestione multidisciplinare integrata preferibilmente nell’ambito di un PDTA (Percorso diagnostico terapeutico assistenziale) strutturato e specifico per le malattie autoimmuni sistemiche, ma che ad oggi non è ancora presente in maniera capillare ed istituzionalizzata nelle diverse realtà territoriali».
Trattandosi di una malattia multiorgano, le persone affette da Lupus hanno esigenze composite e specifiche rispetto a chi soffre di altre patologie reumatologiche, che non possono rimanere sotto traccia. Il Manifesto è anche un appello alle istituzioni affinché promuovano la partecipazione dei pazienti con LES nell’ambito degli organismi decisionali ai vari livelli. L’ascolto delle esperienze di chi vive la malattia e affronta le difficoltà quotidiane lungo tutto il percorso diagnostico-terapeutico è un’opportunità ma anche una necessità per migliorare e rendere più omogenea l’assistenza.