L’Italia pur non avendo una legge sul fine vita che, attualmente, è solo in discussione da parte del legislatore, ha legalizzato il suicidio assistito grazie ad una pronuncia della magistratura
Il fondamento etico e la legalità del fine vita continua ad essere un terreno di confronto e di dibattito a livello internazionale. Alcuni Paesi hanno respinto proposte favorevoli mentre altri le hanno accolte. La Svizzera nel 1942 è stato il primo Paese a depenalizzare il suicidio assistito purchè non vi fossero motivazioni legate all’eredità e dagli anni ’80 la procedura è stata estesa anche a persone straniere.
A partire da inizio 2000 Paesi Bassi, Belgio e, infine Lussemburgo hanno legalizzato l’eutanasia e il suicidio assistito.
L’Italia pur non avendo una legge sul fine vita che, attualmente, è solo in discussione da parte del legislatore, ha legalizzato il suicidio assistito grazie ad una pronuncia della magistratura.
Il 16 giugno 2022 è avvenuto, così, in Italia il primo caso di suicidio assistito. Il riferimento giuridico è la sentenza n. 242 del 2019 della Corte Costituzionale, che lo ha legalizzato a determinate condizioni. La sentenza, trae spunto dalla vicenda di Fabiano Antoniani, meglio noto come Dj Fabo, rimasto, in seguito a un incidente avvenuto nel giugno 2014, tetraplegico e non autonomo nella respirazione e nell’alimentazione.
Dopo infruttuosi ricoveri, cure e tentativi riabilitativi, a partire dalla primavera del 2016 decise di porre fine alla sua esistenza. Non essendo possibile in Italia il suicidio assistito ma solo la sedazione terminale, si recò in Svizzera accompagnato da Marco Cappato, attivista italiano su tematiche di fine vita, il quale al suo rientro, venne processato per aiuto e istigazione al suicidio. Sulla vicenda si è pronunciata, come già detto, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 242 del 2019 sancendo la legittimità del suicidio assistito in Italia.
Sulla scia di quanto sancito dalla Corte Costituzionale Federico Carboni, ugualmente tetraplegico, con sofferenze fisiche intollerabili, ha chiesto ed ottenuto l’accesso al suicidio assistito, coprendo, però, a proprie spese l’acquisto del macchinario e del farmaco. Il primo caso italiano di suicidio assistito ha come fondamento, richiamando la sentenza n. 242, le seguenti condizioni: non è punibile chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.
Le richieste di suicidio assistito in Italia dopo la pronuncia della Corte Costituzionale sono state piuttosto sporadiche e non sono registrate e documentate da nessun data base. Alcune di esse, a causa dell’intervallo di tempo troppo lungo, non sono state attuate o a causa della morte anticipata del richiedente oppure sono sfociate in una richiesta di sedazione terminale.
Il fondamento giuridico rimane, quindi, la Corte Costituzionale che richiamando la legge 219 del 2017 in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, valorizza l’importanza dell’autonomia decisionale del soggetto pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli che abbiano formato oggetto di accurata verifica in ambito medico. Precisa, inoltre, la necessità che la volontà dell’interessato sia stata manifestata in modo chiaro e univoco, compatibilmente con quanto è consentito dalle sue condizioni; che il paziente sia stato adeguatamente informato sia in ordine a queste ultime, sia in ordine alle possibili soluzioni alternative, segnatamente con riguardo all’accesso alle cure palliative ed, eventualmente, alla sedazione profonda continua. Richiama, infine, l’importanza della qualità della vita affidando tale valutazione al diretto interessato, limitando però la possibilità della richiesta del suicidio assistito ai soli casi di patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche oggetto di puntuale verifica da parte di un comitato etico. Rimane comunque ferma la possibilità dell’obiezione di coscienza da parte dei medici
Valorizzando l’autonomia decisionale dell’individuo così come sancito dalla legge 219/2017 che comunque non è una legge sul fine vita, la magistratura e non il legislatore ha introdotto in Italia il suicidio assistito. Tale procedura è piuttosto anomala considerando che l’Italia è un paese cosiddetto di civil law dove per la ripartizione dei poteri la magistratura ha il ruolo di garantire l’applicazione della norma che deve comunque essere prodotta dal Parlamento. Pur avendo più volte la Corte Costituzionale invitato il Parlamento a legiferare in materia, essendo, allo stato attuale, ancora fermo il disegno di legge sul fine vita, di fatto è stata perseguita la via giurisprudenziale per legalizzare il suicidio assistito. Tale fattispecie è stata, quindi, introdotta come leading case in forte analogia con i paesi cosiddetti di common law.
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