La Presidente di AIMA – Associazione Italiana Malattia di Alzheimer, l’associazione che rappresenta le persone con demenza e le loro famiglie, commenta la notizia dell’approvazione da parte della FDA (Food and Drug Administration) del farmaco Lecanemab
«La disponibilità di un farmaco in grado di intervenire sulla malattia e non solo sui sintomi apre finalmente la porta alla cura e ci permette di guardare con speranza al futuro. Ora aspettiamo che il nuovo farmaco sia introdotto in Europa e in Italia, ma nel frattempo dobbiamo adeguare la rete diagnostica». Questo il commento di Patrizia Spadin, Presidente di AIMA – Associazione Italiana Malattia di Alzheimer, l’associazione che rappresenta le persone con demenza e le loro famiglie, alla notizia dell’approvazione da parte della FDA (Food and Drug Administration) del Lecanemab.
In Italia si stimano oggi circa 1.200.000 casi di demenza, di cui circa 700.000 di malattia di Alzheimer. Di questo ultimo gruppo circa il 10-15% ne soffre in una forma lieve e sono queste che potrebbero usufruire di questo trattamento.
«Per sfruttare le potenzialità di questo nuovo farmaco è fondamentale dare vita a un piano di interventi concreti ed efficaci, in primis il potenziamento dei CDCD (Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze): se oggi un paziente con sintomi conclamati arriva alla diagnosi mediamente con 10/12 mesi di ritardo, cosa succederà domani ai pazienti con sintomi lievi o lievissimi se le cose non cambieranno? Intercettare la malattia prima che sia conclamata sarà fondamentale quando il farmaco sarà disponibile e ci auguriamo che EMA (European Medicines Agency) e Agenzia Italiana del Farmaco si pronuncino positivamente appena possibile», ha aggiunto Spadin.
Il Professore Alessandro Padovani, Direttore della Cattedra di Neurologia presso l’Università degli Studi di Brescia, Direttore della Scuola di Specialità in Neurologia presso l’Università degli Studi di Brescia e Presidente eletto di SIN – Società Italiana di Neurologia, in una lettera pubblica al Presidente Patrizia Spadin ha spiegato: «Ritengo che questo trattamento confermi che i farmaci anti-amiloide sono biologicamente efficaci nel ridurre l’accumulo di amiloide, sono efficaci nel rallentare la progressione di malattia, hanno un’azione favorevole nelle forme lievi (parliamo quindi di pazienti che ancora mantengono una discreta autonomia negli atti della vita quotidiana e una discreta capacità cognitiva), Presto saranno disponibili altri risultati con altri farmaci. Questo per dire che la strada non finisce con Lecanemab, siamo solo agli inizi di un lungo viaggio. Ma sappiamo dove andare».