Il Morbo di Alzheimer fa paura a tutti, ma oggi la ricerca scientifica accende una nuova speranza: le cellule staminali mesenchimali. Uno studio tutto italiano pubblicato il mese scorso sulla importante rivista internazionale Stem Cells Traslational Medicine indica le cellule staminali mesenchimali come protagoniste di una ricerca molto interessante. Il gruppo della Dott.ssa Silvia Coco, Centro di Neuroscienze dell’ Università […]
Il Morbo di Alzheimer fa paura a tutti, ma oggi la ricerca scientifica accende una nuova speranza: le cellule staminali mesenchimali.
Uno studio tutto italiano pubblicato il mese scorso sulla importante rivista internazionale Stem Cells Traslational Medicine indica le cellule staminali mesenchimali come protagoniste di una ricerca molto interessante. Il gruppo della Dott.ssa Silvia Coco, Centro di Neuroscienze dell’ Università Milano-Bicocca, ha analizzato ciò che le cellule staminali mesenchimali sono in grado di produrre in laboratorio. Le cellule staminali mesenchimali sono in grado di produrre delle microvescicole dette esosomi. Gli esosomi contengono molte molecole con proprietà antiinfiammatorie. I ricercatori sono in grado coltivare le cellule staminali mesenchimali e di modificare la composizione delle molecole presenti negli esosomi. Diversi studi avevano dimostrato che in modelli animali inoculare gli esosomi nel circolo sanguigno o nel sito di studio poteva abbattere la infiammazione cerebrale. In questo studio, per la prima volta, i ricercatori hanno somministrato per via intranasale gli esosomi di cellule staminali mesenchimali condizionate, in un modello animale di Alzheimer. La risposta di questi animali è stata sorprendente. Gli esosomi raggiungono il cervello con una somministrazione non invasiva e generano immunomodulazione ed effetti neuroprotettivi.
È una pratica molto utilizzata nell’ambito dell’emergenza-urgenza. Permette di somministrare alcuni farmaci in maniera rapida e sicura. Non tutti i farmaci, tuttavia, possono essere somministrati per questa via.
Ha numerosi vantaggi:
La demenza di Alzheimer oggi colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni e in Italia si stimano circa 500mila ammalati. È la forma più comune di demenza senile, uno stato provocato da una alterazione delle funzioni cerebrali che implica serie difficoltà per il paziente nel condurre le normali attività quotidiane. La malattia colpisce la memoria e le funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare ma può causare anche altri problemi fra cui stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale.
Nei pazienti affetti da demenza di Alzheimer si osserva una perdita di cellule nervose nelle aree cerebrali vitali per la memoria e per altre funzioni cognitive. Si riscontra, inoltre, un basso livello di quelle sostanze chimiche, come l’acetilcolina, che lavorano come neurotrasmettitori e sono quindi coinvolte nella comunicazione tra le cellule nervose. Si formano, infine, degli agglomerati proteici, dette placche di amiloide, che impediscono la funzione cerebrale.
Il decorso della malattia è lento e in media i pazienti possono vivere fino a 8-10 anni dopo la diagnosi della malattia.
La demenza di Alzheimer si manifesta con lievi problemi di memoria, fino a concludersi con grossi danni ai tessuti cerebrali, ma la rapidità con cui i sintomi si acutizzano varia da persona a persona. Nel corso della malattia i deficit cognitivi si acuiscono e possono portare il paziente a gravi perdite di memoria, a porre più volte le stesse domande, a perdersi in luoghi familiari, all’incapacità di seguire delle indicazioni precise, ad avere disorientamenti sul tempo, sulle persone e sui luoghi, ma anche a trascurare la propria sicurezza personale, l’igiene e la nutrizione.
I disturbi cognitivi possono, tuttavia, essere presenti anche anni prima che venga formulata una diagnosi di demenza di Alzheimer.
Oggi purtroppo non esistono farmaci. In alcuni pazienti, in cui la malattia è in uno stadio lieve o moderato, farmaci come tacrina, donepezil, rivastigmina e galantamina possono aiutare a limitare l’aggravarsi dei sintomi per alcuni mesi. Questi principi attivi funzionano come inibitori dell’acetilcolinesterasi, un enzima che distrugge l’acetilcolina, il neurotrasmettitore carente nel cervello dei malati di Alzheimer. Perciò inibendo questo enzima, si spera di mantenere intatta nei malati la concentrazione di acetilcolina e quindi di migliorare la memoria. Altri farmaci, inoltre, possono aiutare a contenere i problemi di insonnia, di ansietà e di depressione.
La messa a punto di nuovi farmaci per la demenza di Alzheimer è un campo in grande sviluppo, nei laboratori di ricerca si sta lavorando a principi attivi che aiutino a prevenire, a rallentare la malattia e a ridurne i sintomi.
Altra via di ricerca attiva è quella che punta sullo sviluppo di una risposta immunologica contro la malattia cercando di sviluppare un vaccino in grado di contenere la produzione di b-amiloide (il peptide che si aggrega a formare le placche).
Fra le varie terapie non farmacologiche proposte per il trattamento della demenza di Alzheimer, la terapia di orientamento alla realtà (ROT) è quella per la quale esistono maggiori evidenze di efficacia (seppure modesta). Questa terapia è finalizzata ad orientare il paziente rispetto alla propria vita personale, all’ambiente e allo spazio che lo circonda tramite stimoli continui di tipo verbale, visivo, scritto e musicale.
In un quadro del genere è chiaro come prenda forma e importanza uno studio come quello che vi abbiamo appena descritto.
Lo studio, infatti, sebbene preclinico apre degli scenari molto importanti. Sostiene che la somministrazione intranasale di esosomi condizionati e derivati da cellule staminali mesenchimali in coltura possa diminuire l’infiammazione e i processi ossidativi in stati precoci di Alzheimer. Ma non solo. Questo miglioramento genererebbe l’attivazione delle cellule nervose della glia e l’aumento di densità delle spine dendritiche che normalmente nell’Alzheimer diminuiscono interferendo nella memoria. Questi effetti benefici, inoltre, erano visibili dopo solamente due inoculazioni per via nasale.
La scoperta è sorprendente sia per la facilità di realizzazione, che per la rapidità di efficacia e per la efficacia stessa. Sebbene sia uno studio che coinvolge un modello animale e non l’uomo fa pensare alla necessità di approfondimento. La diminuzione dell’infiammazione e l’attivazione delle cellule nervose prima della formazione delle placche dendritiche responsabili degli effetti peggiori dell’Alzheimer, fa sempre di più pensare che si debba agire anche in maniera diversa rispetto alla eliminazione delle placche di amiloide. Le cellule staminali mesenchimali possono essere un valido aiuto per questo. La possibilità di somministrare esosomi attraverso una via non invasiva e la dimostrazione della loro efficacia anti-infiammatoria può accelerare la possibilità di un approfondimento traslazionale di questo studio.
La terapia cellulare, e i suoi derivati, perciò in aiuto per tanti tipi differenti di malattie fa pensare a rivedere i regolamenti che sottendono questi tipologie di terapie lanciando uno sguardo ad un futuro in cui le cellule staminali saranno sempre più protagoniste.
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