Di Muzio Stornelli, dirigente infermieristico
L’eredità che ci lascerà in consegna la pandemia da Covid-19 potrebbe senz’altro tornarci utile soprattutto in un’ottica di miglioramento delle cure, con particolare riferimento all’assistenza primaria, avanguardia del Servizio Sanitario Nazionale. Velocemente, ma con razionalità, i servizi di cure primarie (tra i quali l’infermiere di famiglia) hanno spostato il baricentro delle cure e dell’assistenza verso il domicilio degli utenti, decongestionando le strutture per acuti e salvaguardando la vita degli stessi malati domiciliari. Una strategia del genere si è rivelata determinante e soprattutto ha dimostrato le potenzialità che è in grado di offrire non solo negli stati di emergenza, tanto che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, nel definire quanto detto finora, un nuovo modello organizzativo della rete di assistenza sanitaria territoriale, volta a definire modelli e standard relativi all’assistenza territoriale, ha preventivato (di concerto con la Legge di Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022) investimenti milionari al fine di potenziare le suddette Cure Primarie.
Al fine quindi di istituzionalizzare i già menzionati standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza territoriale, lo scorso 23 febbraio il Ministero della Salute di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha inoltrato alle Regioni, la bozza di quello che dovrebbe essere il DM 71, trasposizione sul territorio dell’ormai noto DM70, relativo ai contesti di cura per acuti.
Il documento in questione contiene una corposa e nutrita sezione dedicata ai modelli operativi da potenziare o implementare sul territorio al fine di supportare gli interventi inerenti i Livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEPS) e gli ambiti territoriali sociali (AST).
Il percorso che si andrà quindi a delineare avrà come mission la sanità d’iniziativa, modello assistenziale di prevenzione e di gestione della cronicità, orientato alla promozione della salute, che non aspetta l’assistito in ospedale o in altra struttura sanitaria, ma lo prende in carico in modo proattivo già nelle fasi precoci dell’insorgenza o dell’evoluzione della condizione morbosa.
Il luogo che coordinerà le attività territoriali continuerà ad essere il Distretto, con i suoi circa 100mila abitanti, con variabilità secondo criteri di densità di popolazione e caratteristiche orografiche del territorio.
Come primo approccio, si punterà sulla Casa della Comunità (CdC), intesa come il luogo fisico di riferimento, di prossimità e di facile individuazione dove il cittadino può entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria, così da trovare la risposta ad un suo bisogno di salute. La CdC adotterà un modello organizzativo di approccio integrato e multidisciplinare attraverso un’équipe multiprofessionale territoriale. Sarà presente una CdC hub ogni 40-50mila abitanti; all’interno di essa ci saranno:
I servizi previsti nelle Case della Comunità saranno: punto unico di accesso, servizio di assistenza domiciliare di base, servizi infermieristici, integrazione con i servizi sociali, medicina dello sport, punto prelievi ecc., il tutto al fine di garantire l’assistenza di prossimità per la popolazione di riferimento adottando una sorta di modello di “presa in carico” totale dell’assistito.
E da tale punto di vista un ruolo determinante lo riveste e lo rivestirà ancora di più l’infermiere di famiglia, figura di riferimento in grado di garantire l’assistenza infermieristica ai diversi livelli di complessità, chiaramente in collaborazione con tutti i professionisti operanti all’interno della comunità. L’infermiere di famiglia e di comunità sarà presente ogni 2-3mila abitanti e, attraverso una presenza continuativa e proattiva all’interno dei contesti familiari e di comunità, sarà in grado di intercettare i bisogni di salute, contribuire alla programmazione delle attività dei malati cronici, promuovendo il coinvolgimento attivo e consapevole della stessa comunità, grazie alla realizzazione di momenti educativi sui principali ambiti della prevenzione e della tutela della salute.
A supportare l’infermiere e tutti gli altri professionisti sanitari (MMG, PLS) contribuisce l’Unità di Continuità Assistenziale (composta da un medico ed un infermiere ogni 100mila abitanti), la quale può essere coinvolta nei momenti di particolare complessità e di comprovata difficoltà operativa di presa in carico degli utenti.
La rete comunicativa e gestionale dell’intero sistema territoriale sarà coordinata dalla Centrale Operativa Territoriale (COT), in grado di assicurare continuità, accessibilità ed integrazione dell’assistenza sanitaria e scoiosanitaria, così da seguire la presa in carico della persona dal domicilio all’eventuale struttura per acuti. Sarà presente una COT ogni 100mila abitanti o comunque a valenza distrettuale, mentre il personale facente parte della Centrale sarà composto da 5-6 infermieri e 1-2 unità di personale di supporto.
Al di sopra della Centrale operativa territoriale sarà istituita la Centrale Operativa 116117 (ogni 1-2 milioni di abitanti o comunque a valenza regionale) sede del Numero Europeo Armonizzato per le cure mediche non urgenti, così da offrire un servizio telefonico gratuito alla popolazione, attivo 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 per tutte quelle prestazioni a bassa intensità assistenziale.
A metà fra il territorio ed il ricovero ospedaliero un posto fondamentale lo riveste e lo continuerà a rivestire l’Ospedale di Comunità, al fine di evitare i ricoveri ospedalieri impropri e favorire le dimissioni protette in luoghi più idonei ai fabbisogni sociosanitari, di stabilizzazione clinica, di recupero funzionale e dell’autonomia. Lo standard, in questo caso, è di un ospedale di comunità dotato di 20 posti letto ogni 50.000-100mila abitanti, 9 infermieri, 6 operatori sociosanitari, almeno 1-2 unità di altro personale sanitario ed un medico per almeno 4.5 ore al giorno, 6 giorni su 7.
Ulteriori servizi specialisti riguardano le unità di cure palliative domiciliari (1 ogni 100mila abitanti), l’Hospice (almeno 10 posti letto ogni 100mila abitanti), i consultori (ogni 20mila abitanti).
Possiamo quindi affermare che i sistemi sopra descritti, in realtà già deliberati (almeno molti di loro) con la nascita del Servizio Sanitario Nazionale, ora vedranno la luce. E la differenza la faranno i singoli professionisti, i quali però, in un’ottica di multidisciplinarietà e multiprofessionalità dovranno essere pronti, formati ed in grado di assumersi delle responsabilità propedeutiche alla salvaguardia della salute dei cittadini.
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato