Il 2 aprile, come ogni anno dalla risoluzione 62/139 del 18 dicembre 2007 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si è celebrata la Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo (World Autism Awareness Day), nata con la finalità di implementare la ricerca, lo studio, la diagnosi precoce, i servizi e il rispetto dei diritti per le persone autistiche. […]
Il 2 aprile, come ogni anno dalla risoluzione 62/139 del 18 dicembre 2007 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si è celebrata la Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo (World Autism Awareness Day), nata con la finalità di implementare la ricerca, lo studio, la diagnosi precoce, i servizi e il rispetto dei diritti per le persone autistiche.
La Società italiana di medicina dell’adolescenza (Sima) tiene a sottolineare le criticità che questi individui affrontano nella già di per sé complessa fase adolescenziale. Ne discutiamo con Gabriella Pozzobon, Pediatra del Centro di Endocrinologia dell’Infanzia e dell’Adolescenza presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e Presidente Sima e con Carlo Alfaro, Pediatra presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi (Napoli) e Consigliere della Sima.
Per i soggetti con disturbo dello spettro autistico, l’adolescenza può rappresentare al tempo stesso un’opportunità e una fase critica; in ogni caso è una sfida, come per tutti gli adolescenti. Può essere intesa come opportunità nel senso che è l’occasione per aumentare l’inclusione, sulla spinta delle istanze di socializzazione che si fanno più intense in questa fascia di età, per favorire lo sviluppo di competenze, abilità e autonomie, per definire la costruzione della propria identità, accrescere l’autostima, aumentare le strategie di problem solving e di pianificazione, la cura di sé, le funzioni esecutive nei diversi contesti. In sintesi, per preparare i ragazzi all’integrazione nella società, nei limiti delle loro possibilità. Ma è anche una fase di crisi, in quanto spesso in adolescenza aumentano per i ragazzi autistici i comportamenti problema e peggiora lo stress nelle relazioni familiari e sociali.
Oggi c’è sostanziale accordo sul fatto che il Disturbo dello spettro autistico rappresenti un termine ombrello che comprende una grande eterogeneità di condizioni diverse per cause, sintomi, comportamenti, gravità ed evoluzione, accomunate da un disordine di fondo dello sviluppo del Sistema Nervoso. La natura di questa alterazione non è nota e probabilmente non è univoca, dando ragione della pluralità delle fenomenologie dello spettro autistico. Certamente si tratta di una realtà ad eziopatogenesi multifattoriale , in cui la predisposizione costituzionale su base genetica e i fattori ambientali si intrecciano determinando effetti plurimi su costruzione e sviluppo del mondo interpersonale del soggetto. Secondo la “Teoria della mente”, il soggetto autistico trova difficoltà ad attribuire e riconoscere alle persone degli stati mentali (emozioni, pensieri, idee, ecc.) e di prevedere e comprendere il loro comportamento sulla base di tali stati. Ne conseguono difficoltà nel filtrare, comprendere e codificare punti di vista e intenzioni, emozioni e stati d’animo, doppi senso, metafore e ironia. Inoltre, questi individui trovano resistenza a elaborare in modo coerente le informazioni, a compiere operazioni di passaggio dal dettaglio e dal particolare alla generalizzazione, ad apprendere da un’esperienza per applicarla in una nuova situazione simile. Come disse Marc Sieger “L’autistico è qualcuno che deve imparare scientificamente quello che per gli altri è intuitivo”.
In adolescenza troviamo espressi i sintomi che attengono ai tre criteri fondamentali per la diagnosi, con peculiarità che sono quelle dell’età. Il primo è il Deficit dell’interazione sociale, che nell’adolescente si manifesta con difficoltà nel riconoscere, controllare e comunicare le emozioni: il ragazzo trova ostacoli ad interpretare stimoli socialmente rilevanti, come gesti, toni di voce, espressioni facciali e tende a “intellettualizzare” i sentimenti. Ne consegue mancanza di reciprocità ed empatia con gli altri. Il secondo elemento è il Deficit della comunicazione, verbale e non verbale: sono frequenti eloquio bizzarro o eccentrico, scelta limitata di parole e frasi, talvolta esternazioni fuori contesto, ripetizione ad eco di frasi udite, frasi fatte, domande-risposte. La comprensione del linguaggio può verificarsi ad un livello molto letterale e concreto. La conversazione può risultare ingenua, limitata, ripetitiva, monotona, ossessiva su determinati argomenti, poco emotiva. Ultimo aspetto, la presenza di interessi, comportamenti e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati: c’è la tendenza ad assumere un atteggiamento mentale di chiusura in se stessi e a dirigere le attenzioni in una sola direzione (monotropismo), con raggiungimento talvolta dell’eccellenza in talune abilità o conoscenze. Si associano disturbi sensoriali (le cosiddette “sensorialità smontate” di Donald Meltzer, cioè i vari sensi, sia pur integri, non sono integrati tra loro), aspetti sui generis del comportamento motorio (camminata particolare, movimenti delle mani e saltelli quando sono emozionati, andare dappertutto) e delle espressioni (smorfie, mimica assente o esagerata, sguardi fissi), stereotipie o rituali ossessivi, iperattività, irritabilità, impulsività, scarsa autonomia, basso senso pratico, scarsa comprensione delle situazioni sociali e dei limiti tra sfera pubblica e privata, senso di inadeguatezza in una situazione nuova o imprevista, frequente esposizione a rifiuto e discriminazione da parte degli altri, episodi di bullismo e abusi, senso di solitudine e alienazione, dolorosa consapevolezza di diversità, sentimenti di inferiorità, frustrazione, rabbia, aggressività, disturbi del sonno, fino a costrutti psico-patologici come disturbi dell’umore, ansia, depressione, disturbo ossessivo- compulsivo, disturbo post-traumatico da stress, autolesionismo. Nel complesso, tutti questi sintomi si possono esprimere nelle tre dimensioni individuate dal DSM V dell’Autismo grave, medio e lieve.
Gli esiti a lungo termine sono molto diversi a seconda del quoziente intellettivo (QI), del grado di sviluppo del linguaggio e della comunicazione e dipendono anche dalla tipologia e precocità degli interventi educativi. L’evoluzione migliore si ha nei soggetti che sviluppano un linguaggio comunicativo, non soffrono di crisi epilettiche e vantano un QI superiore a 70. Attualmente purtroppo però ancora fino al 90% di bambini con autismo diventano adulti non autosufficienti.
La grande scommessa è trasformare i limiti delle persone autistiche in risorse. In altre parole, dare loro la possibilità di sviluppare al massimo competenze e talenti per ottenere una vita dignitosa pur nel rispetto della diversità. Ciò richiede un impegno di presa in carico individualizzato, concreto, continuativo e coordinato da parte di tutti gli attori (famiglie, servizi sanitari, scolastici, educativi e sociali e l’intera comunità) attraverso modelli di intervento multidisciplinari specializzati, integrati e flessibili che portino a linee guida condivise e percorsi sinergici. Tante sono ancora le criticità da risolvere per questi soggetti nella vita adulta: dopo i 18 anni, non ci sono più strutture dedicate come le neuropsichiatrie infantili, per cui il paziente autistico rischia di diventare un malato psichico generico; l’inserimento nel mondo del lavoro è ancora una chimera in molti contesti; la conquista di una certa autonomia, come prevedono gli obiettivi della legge n. 112/2016 cosiddetta “Dopo di Noi”, dovrebbe essere garantita fuori dalla famiglia già quando i genitori sono in vita. Le iniziative ci sono ma sono ancora “a macchia di leopardo” sul territorio nazionale. E in adolescenza si gioca la partita più grande per la consegna alla vita adulta di un individuo capace di esprimere tutte le sue potenzialità.
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