Bayer AG e il suo partner di sviluppo Janssen Research & Development, LLC hanno riferito oggi nuovi dati real life dal database di Truven MarketScan negli Stati Uniti che dimostrano come i pazienti fragili, con Fibrillazione Atriale non-valvolare (FANV), trattati per un periodo di due anni con rivaroxaban, inibitore orale del Fattore Xa, hanno avuto […]
Bayer AG e il suo partner di sviluppo Janssen Research & Development, LLC hanno riferito oggi nuovi dati real life dal database di Truven MarketScan negli Stati Uniti che dimostrano come i pazienti fragili, con Fibrillazione Atriale non-valvolare (FANV), trattati per un periodo di due anni con rivaroxaban, inibitore orale del Fattore Xa, hanno avuto un rischio ridotto di ictus ed embolia sistemica del 32% e un rischio ridotto di ictus ischemico del 31%, rispetto ai pazienti trattati con warfarin.
I risultati dello studio sono stati pubblicati sul Journal of the American Heart Association. La fragilità è un comune stato clinico riscontrato prevalentemente negli anziani, che ne rende più difficile la ripresa da eventi cardiovascolari e li rende vulnerabili a esiti peggiori. Chi soffre di Fibrillazione Atriale non-valvolare è quattro volte più a rischio di fragilità rispetto a chi non ne soffre. Si stima che la Fibrillazione Atriale non-valvolare interessi 33,5 milioni di persone nel mondo. Inoltre, questa patologia è associata a un aumento del rischio di ictus di cinque volte, e il 15% – 20% degli ictus si verifica in soggetti con questa patologia. Nonostante ciò, la ricerca ha dimostrato che le persone fragili con Fibrillazione Atriale non-valvolare hanno una minore probabilità di ricevere un’adeguata terapia anticoagulante rispetto ai soggetti non-fragili.
“Non c’è consenso diffuso sul miglior modo di gestire pazienti fragili con Fibrillazione Atriale non-valvolare nella pratica clinica, e questo spiega perchè alcuni pazienti non vengano trattati e restino ad alto rischio di ictus – ha dichiarato Craig Coleman, Farmacista, Professore di Pratica Farmaceutica dell’Università del Connecticut – Questi risultati hanno riscontrato che la terapia di lungo termine con rivaroxaban ha ridotto il rischio di ictus ed embolia sistemica in questa popolazione di pazienti vulnerabili, senza aumentare il rischio d’emorragia maggiore, e forniscono ai sanitari importanti conoscenze su un approccio efficace e ben tollerato per trattare i loro pazienti fragili con Fibrillazione Atriale non-valvolare”.
Nello studio, i pazienti fragili con Fibrillazione Atriale non-valvolare in terapia con rivaroxaban, apixaban o dabigatran sono stati individuati attraverso il database statunitense Truven MarketScan relativo alle richieste di rimborsi sanitari. I soggetti, in ciascun gruppo di terapia, sono stati associati separatamente a quelli in trattamento con warfarin con un rapporto 1:1 e seguiti per due anni, o fino al verificarsi di un evento, o all’uscita dal piano assicurativo, o alla fine del follow-up. L’endpoint primario d’efficacia era ictus (ischemico o emorragico) o embolia sistemica e l’endpoint primario di sicurezza era emorragia maggiore.
Il buon profilo d’efficacia e sicurezza di rivaroxaban è confermato all’interno delle numerose popolazioni di pazienti con Fibrillazione Atriale non-valvolare. I risultati di questo studio sostengono l’efficacia del farmaco nella vita reale in pazienti fragili, che hanno minore probabilità di ricevere un’adeguata terapia anticoagulante” – ha dichiarato Martin van Eickels, Responsabile Medical Affairs di Bayer – “Questo genere di evidenze di Real life, unite a quelle ottenute dai trial clinici di registrazione, offrono un ricco ventaglio di informazioni utili per poter gestire al meglio i pazienti con patologie cardiovascolari.
Le osservazioni al follow up a due anni dimostrano che rivaroxaban è stato associato a una riduzione significativa del 32% di ictus o embolia sistemica.
Lo Studio
Attraverso le informazioni sulle richieste di rimborsi sanitari reperite attraverso i database statunitensi MarketScan e relative al periodo compreso fra novembre 2011 e dicembre 2016, i ricercatori hanno individuato 19.077 nuovi utilizzatori di rivaroxaban, apixaban, dabigatran o warfarin non trattati in precedenza con terapia anticoagulante. Questi soggetti avevano, inoltre, almeno 12 mesi di copertura assicurativa continuativa ed erano considerati pazienti “fragili”.
Nello studio retrospettivo sono stati compresi in totale 10.754 pazienti di cui 2.635 in terapia con rivaroxaban, 1.392 con apixaban, 1.350 con dabigatran e 5.377 con warfarin. Ciascun utilizzatore di rivaroxaban, apixaban e dabigatran, rispondente ai criteri, è stato accoppiato per punteggio di propensione a un utilizzatore di warfarin in un rapporto di 1:1, minimizzando la presenza di differenze basali fra le coorti.
Oltre ai risultati a due anni, sono anche stati tracciati gli esiti dei pazienti a un anno. I ricercatori non hanno riscontrato alcuna differenza significativa per ictus o embolia sistemica con rivaroxaban, apixaban o dabigatran rispetto a warfarin a un anno.
I risultati real life integrano quelli ottenuti in studi controllati randomizzati, fornendo ulteriori informazioni su come un farmaco si comporta nella pratica clinica quotidiana. Presentano, tuttavia, dei limiti e non possono essere utilizzati da soli, come evidenze per validare efficacia e/o sicurezza di una terapia.