La grande fuga dalla sanità italiana. È quella che da anni spinge medici e infermieri a accettare incarichi meglio remunerati al di fuori dei confini. Ma in questo percorso da emigranti i professionisti non sono soli, visto che anche tanti pazienti hanno deciso di rivolgersi a strutture sanitarie estere. In una nota la posizione dell’UGL […]
La grande fuga dalla sanità italiana. È quella che da anni spinge medici e infermieri a accettare incarichi meglio remunerati al di fuori dei confini. Ma in questo percorso da emigranti i professionisti non sono soli, visto che anche tanti pazienti hanno deciso di rivolgersi a strutture sanitarie estere. In una nota la posizione dell’UGL Sanità.
«Sono dati sconfortanti – dice il Segretario Nazionale della Ugl Sanità Gianluca Giuliano – che dimostrano le enormi carenze del SSN, che ora la pandemia ha fatto esplodere in modo palese. Se della fuga all’estero di oltre 10mila medici e 8mila infermieri, che ogni anno decidono di abbandonare l’Italia attratti da contratti molto più ricchi e da maggiori tutele, abbiamo spesso parlato lanciando gridi d’allarme inascoltati ora vogliamo sottolineare, a ulteriore dimostrazione dello sfascio del sistema, come tanti nostri connazionali decidano di usufruire di cure in nazioni straniere. Non c’è quindi, nella ricerca di maggiore qualità delle prestazioni, solo una migrazione sanitaria dalle regioni del Sud verso quelle del Nord ma anche verso l’estero. Infatti dal 2014 al 2019, come documentato dalla Corte dei Conti, lo Stato ha speso ingenti risorse per rimborsare i costi di cure che tanti italiani hanno sostenuto fuori dai confini nazionali. Si va dai 261,5 milioni di euro del 2014 ai 215,6 dello scorso anno. Le politiche attuate da decenni che con tagli costanti e indiscriminati hanno prodotto questo risultato impoverendo il SSN in termini di forza lavoro e qualità delle cure erogate, trascinandolo verso il baratro. Per provare a convincere i professionisti a tornare in patria e i pazienti a credere nella sanità italiana servirà uno sforzo enorme. Ma la strada tracciata dal Governo purtroppo sembra andare in direzione opposta come dimostra la suddivisione dei fondi del Recovery Plan dove la sanità è in coda con i nove miliardi stanziati. Bisognerà destinare maggiori risorse, e tagliare gli sprechi. Chiediamo, per essere competitivi con le altre nazioni, che vengano adeguate le retribuzioni della sanità alla media europea, assunzioni di medici e infermieri esclusivamente con forme di contratti a tempo indeterminato, investimenti per la messa in sicurezza e l’ammodernamento delle strutture, riapertura di poli sanitari strategici, potenziamento della medicina del territorio e dell’emergenza. Sono queste le priorità di un sistema che deve essere rivisto completamente».