di Muzio Stornelli, Formatore e consulente sanitario legale-forense
Lo studio degli errori da sempre rappresenta un aspetto peculiare della Clinical Governance. Basti pensare che una ricerca del 2013 a cura del Center for Disease Control and Prevention e pubblicato sul BMJ affermava che gli errori medici erano la terza causa di morte (251.454 utenti deceduti) preceduta solamente dagli accidenti cardiaci e dal cancro (rispettivamente 611.105 e 584.881 decessi). Ciò a dimostrare che le conseguenze degli sbagli sono talvolta letali, per cui è improcrastibabile implementare strategie volte a ridurre la possibilità di sbagliare, così da abbattere il rischio di commettere errori, con grande beneficio per gli assistiti.
A tal proposito è interessante citare un recente studio pubblicato dall’American Association of Critical-Care Nurses: “Evaluating Medication Errors at Transition of Care”.
L’obiettivo del lavoro di ricerca era quello di valutare gli errori terapeutici durante la transizione delle cure al momento del trasferimento dei pazienti da una unità critica ad un reparto ordinario. Il progetto ha coinvolto 58 unità di terapia intensiva in 34 ospedali statunitensi e 2 nei Paesi Bassi. Circa la metà degli utenti trasferiti ha subìto un errore terapeutico al momento del trasferimento; di questi, fortunatamente il 75% non ha causato danni ai malati. La terapia sostitutiva renale durante la degenza in terapia intensiva ed il numero di farmaci prescritti dopo il trasferimento sono stati identificati come i fattori maggiormente associati al verificarsi di errori, mentre le infusioni endovenose, i diuretici e gli elettroliti venivano correlati ad un aumento delle probabilità di errore.
Diversamente, un monitoraggio continuo e costante dei pazienti associato ad una sospensione con contestuale nuova prescrizione dei farmaci in corso da parte dei medici accettanti ha ridotto tale rischio. Non a caso le linee guida NICE del 2015 (Medicines optimisation: the safe and effective use of medicines to enable the best possible outcomes), in riferimento ai contesti per acuti raccomandavano di elencare accuratamente tutti i farmaci ed effettuare la riconciliazione entro 24 ore, o prima se necessario, quando la persona veniva trasferita da un ambiente di cura ad un altro. Atteggiamento, quest’ultimo, fortemente raccomandato anche dal nostro Ministero della Salute, il quale già nel 2014 con la pubblicazione delle raccomandazioni per la riconciliazione della terapia, raccomandava fortemente ai medici, prima di eseguire la prescrizione farmacologica, di confrontare la terapia in corso con le disposizioni (prescrizioni ex novo, modifiche) ritenute necessarie per l’attuale circostanza clinica.
Parallelamente al rischio da transizione altrettanta importanza riveste la somministrazione dei farmaci “ad alta allerta”, composti che, quando utilizzati non correttamente, è altamente probabile che causino gravi danni o addirittura la morte ai pazienti. I farmaci in questione sono: anticoagulante orale, eparina, insulina, potassio cloruro endovena, metotrexate orale. Lo studio di MT Lopez Mancha suggerisce che in tal caso diviene necessario attuare pratiche specifiche, compreso il confezionamento, l’etichettatura, la conservazione e la preparazione, nonché l’istituzione di protocolli standardizzati al fine di ridurre gli errori.
Dai due lavori di ricerca si evince l’esigenza di ammodernare l’agenda della sicurezza e mettere al primo punto all’ordine del giorno il paradigma del “Targeting zero”, ovvero ridurre la possibilità di sbagliare nella prescrizione e somministrazione dei farmaci al fine di azzerare il rischio di commettere errori.
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