Come gestire i conflitti tra compagnia e assicurato quando la prima rifiuta le spese legali nel caso in cui l’assicurato scelga di nominare un proprio legale di fiducia? Una soluzione potrebbe esserci. Vediamo come
Una delle questioni maggiormente controverse e che, in molti casi, ha condotto a conflitti portati avanti anche in sede giudiziale, tra compagnia ed assicurato, riguarda la rifusione da parte della compagnia assicurativa delle spese legali (rectius spese di resistenza) nelle ipotesi in cui l’assicurato, per resistere nel giudizio attivato nei suoi confronti dal terzo danneggiato, abbia scelto di nominare un proprio legale di fiducia anziché affidarsi al legale offertogli ex contractu dalla compagnia.
Sebbene infatti, nell’ambito della disciplina inerente le polizze di responsabilità civile, l’art. 1917 c. 3 c.c., disponga che «Le spese sostenute dall’assicurato per resistere all’azione del danneggiato gravano l’assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata» e ancorché tale norma risulti, ai sensi dell’art. 1932, primo comma, c.c., inderogabile – ossia non modificabile, se non in senso più favorevole all’assicurato – la circostanza che la compagnia assicurativa sia, sempre e comunque, tenuta a rifondere le spese di resistenza in favore dell’assicurato che scelga il proprio legale risulta tutt’altro che scontata.
Sul punto, sembra infatti essersi consolidato un orientamento giurisprudenziale, ribadito anche di recente dall’ordinanza della S.C. n. 4202/2020, che riconosce la validità della clausola contrattuale che esclude l’obbligo per l’assicuratore di rimborsare le spese di resistenza sostenute dall’assicurato, a condizione che nel contratto di assicurazione sia altresì presente il c.d. di patto di gestione della lite, quale negozio atipico, accessorio al contratto di assicurazione. È solo infatti tramite il suddetto patto, secondo la giurisprudenza in esame, che lo scopo voluto dal citato art. 1917 c. 3 c.c., ovvero di tenere indenne l’assicurato dalle spese di resistenza in giudizio, può ritenersi ugualmente realizzato.
In tal senso, dunque, il patto di gestione della lite costituisce uno strumento lecito di adempimento sostitutivo dell’obbligo imposto dall’art. 1917, comma 3, c.c., senza il quale, la clausola di esclusione dal rimborso, isolatamente considerata, non potrebbe risultare valida (cfr. Cass. 14107/2019).
Per poter però ritenere valido tale diniego, non basterà provare la presenza del suddetto patto, occorrerà altresì indagare se le parti abbiano o meno manifestato la volontà di avvalersi di tale patto e di volerlo rendere concretamente operante con l’assunzione diretta da parte della compagnia della difesa legale dell’assicurato. Nella specie, dovrà essere valutato il comportamento in concreto tenuto da ciascuna delle parti contraenti, anche singolarmente.
Tra le ipotesi che legittimeranno quindi il diniego legittimo al rimborso delle spese legali, non rientrerà solamente la volontà della compagnia di esercitare la facoltà di gestire in via esclusiva la lite, ma ben potrà rientrare, in alternativa, anche la prova (contraria) della volontà dell’assicurato di non avvalersi della difesa offerta dalla compagnia tramite il patto di gestione della lite. Tale scelta, seppur legittima, renderà inoperante il diritto dell’assicurato al rimborso di cui all’art. 1917 c. 3 c.c., giustificando, per l’effetto, il relativo diniego da parte della compagnia.
A questi fini, naturalmente, non sarà necessario che la volontà di non avvalersi del suddetto patto da parte dell’assicurato sia stata esplicitata in maniera formale, ma basterà anche semplicemente che tale volontà risulti espressa per facta concludentia, ossia attraverso la scelta attuata, in concreto, dall’assicurato di nominare un proprio legale di fiducia.
Su queste basi, pertanto, in un’ottica di tutela del sinallagma contrattuale, la clausola che esclude il rimborso delle spese legali assurge a naturale corollario del patto di gestione della lite, nel caso in cui, appunto, l’assicurato decida di non avvalersene. Fermi restando questi assunti, resta ora da interrogarsi su alcuni aspetti di cui le pronunce in esame sembrano non aver tenuto conto.
Ci si riferisce, nella specie, agli aspetti relativi al rapporto fiduciario di intuitus personae che necessariamente dovrebbe governare la relazione tra professionista e assistito e che non sempre potrà essere garantito qualora il legale venga “imposto” all’assicurato dalla compagnia.
Sebbene, del resto, il mandato per il giudizio venga conferito all’avvocato direttamente dall’assicurato, è pur sempre vero però che il legale indicato dalla compagnia, in molti casi, avrà con quest’ultima sottoscritto delle specifiche convenzioni che regolano anche i rapporti economici. Questo dunque potrebbe condurre ad ipotesi potenzialmente confliggenti tra le parti, soprattutto nei casi in cui la compagnia abbia previamente sollevato eccezioni di inoperatività della polizza o di rivalsa nei confronti dell’assicurato o, ancora, alle ipotesi in cui, nell’ambito della r.c.a., l’assicurato abbia agito nei confronti della propria compagnia assicurativa per effetto dell’azione diretta.
In merito, alla soluzione proposta dalla richiamata pronuncia della Cassazione, è doveroso inoltre rilevare che, molto spesso, nel patto di gestione della lite viene espressamente previsto che la società si faccia carico della gestione della vertenza “fino a quando ne ha interesse”, sebbene l’art. 1917 c. 3 c.c. preveda che se ne debba fare carico, a prescindere dal proprio interesse. Ecco che in tutti questi casi, occorrerà comprendere come il diritto di difesa dell’assicurato ed il diritto di vedersi rimborsare le spese di resistenza da parte della compagnia, in ossequio a quanto previsto dall’art. 1917 c. 3 c.c., possano tra loro conciliarsi con i principi fissati dalla giurisprudenza come sopra richiamati.
Certamente una soluzione più equilibrata potrebbe essere rappresentata dall’ipotesi (intermedia) che, da un lato, veda riconosciuta la facoltà dell’assicurato di scegliere un proprio legale di fiducia e, dall’altro, che veda contenere l’esborso della compagnia nei limiti dei compensi base previsti dal D.M. 55/2014 e s.m.i. ovvero, addirittura, nei limiti dei compensi che la compagnia avrebbe contrattato con il legale fiduciario; ciò garantirebbe, da un lato, il diritto di poter nominare un professionista di fiducia all’assicurato, senza doversi far carico del relativo onere economico, del tutto o comunque solo in termini di “differenziale”; dall’altro lato, garantirebbe alla compagnia i medesimi benefici derivanti dal patto di gestione della lite. Tale soluzione permetterebbe inoltre di ovviare anche a tutte quelle ipotesi di potenziale conflitto di interesse sopra richiamate.
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di Avv. Cristina Lombardo Foro di Milano
operante nell’ambito della RC medica con in Management della Responsabilità sanitaria
e di Attilio Steffano, President Assimedici e CEO HSM
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