«Servono più cure domiciliari, telemedicina e assunzioni di personale, non si possono obbligare i medici di base a svolgere questi test nel loro studio senza metterli nelle condizioni di farlo in sicurezza» sottolinea l’eurodeputata della Lega
«L’emergenza Covid accelera, il Lazio è sotto pressione e la situazione rischia di sfuggire di mano all’amministrazione regionale, nonostante il sistema sanitario dimostri una buona tenuta grazie all’impegno di medici, infermieri, anestesisti, operatori sociosanitari, farmacisti e di molte altre figure professionali che operano nel settore. Ma la possibilità di coinvolgere, ad esempio, i medici di base nel tentativo di allentare la pressione sugli ospedali e i punti di primo accesso come i Pronto soccorso, per effettuare più test rapidi e tamponi, rischia di diventare un boomerang senza le necessarie tutele e garanzie. I medici di famiglia, infatti, nella maggior parte dei casi hanno lo studio in appartamenti privati all’interno di condomini, spesso molto affollati». Lo afferma Luisa Regimenti, eurodeputata della Lega e responsabile Sanità per il partito nel Lazio.
«La possibilità di allargare il contagio, in questo caso, aumenta – continua l’esponente leghista – senza considerare che verrebbero meno le visite da dedicare ad altre patologie, con i medici di base sovraccaricati dell’onere burocratico di tenere il tracciamento dei pazienti esaminati. Tracciamento comunque importante, visto che sono proprio loro a venire a conoscenza per primi dei risultati. Sbagliato, poi, costringere i medici ad effettuare i tamponi, anziché limitarsi alla discrezionalità del professionista, che accettando l’incarico potrebbe attrezzarsi al meglio, chiedendo la disponibilità di strutture idonee e la dotazione di protezioni individuali adeguate. E in questa prospettiva le Regioni devono impegnarsi a fornire i dpi necessari per portare a termine gli impegni definiti nell’accordo».
Secondo Regimenti, «è quindi giusto, opportuno e urgente intervenire per dare respiro al sistema sanitario, e in questi nove mesi non è stato fatto nulla per far fronte alla prevista seconda ondata della pandemia, mentre servono più cure domiciliari, telemedicina e assunzioni di personale, non si possono obbligare i medici di base a svolgere questi test nel loro studio senza metterli nelle condizioni di farlo in sicurezza, nel rispetto delle persone e con le necessarie tutele. Questa possibilità dovrà essere verificata, perché non tutti gli studi hanno una disposizione tale da garantire la salubrità degli ambienti per simili prestazioni».