Secondo il Presidente dell’Ordine dei Medici di Roma «è necessario che il personale sanitario nell’esercizio delle sue funzioni sia inquadrato nella figura di pubblico ufficiale o, in alternativa, prevedere la procedibilità d’ufficio contro gli aggressori»
Esprime soddisfazione per l’approvazione in Consiglio dei Ministri del ddl per fermare le aggressioni ai camici bianchi il Presidente dell’Ordine dei Medici di Roma Antonio Magi, da sempre in prima linea nella lotta alle violenze agli operatori sanitari. «Come OMCeO di Roma e provincia ringraziamo il ministro Giulia Grillo per aver preso, come promesso, provvedimenti fattivi e in tempi rapidi per cercare di combattere l’escalation di violenza contro i medici e gli operatori sanitari. Eravamo certi che avrebbe dato seguito alle sue parole, visto che ha più volte dimostrato grande sensibilità su questo tema».
Magi ha ricordato che l’Ordine della Capitale e il più grande d’Europa con i suoi 42 mila iscritti, e alcuni di questi sono stati recentemente vittime di violenza durante lo svolgimento delle loro attività: «Come Ente sussidiario dello Stato – ha spiegato Magi – ci rendiamo sin da ora disponibili a dare il nostro contributo al provvedimento di legge. Infatti, a nostro avviso, non è sufficiente come deterrenza al fenomeno la sola integrazione dell’articolo 61 del codice penale che disciplina le circostanze aggravanti nei confronti di chi commette reati con violenza o minacce in danno degli operatori sanitari nell’esercizio delle loro funzioni prevedendo solo l’inasprimento delle pene per questo specifico reato».
«È necessario che il personale sanitario nell’esercizio delle sue funzioni sia inquadrato nella figura di pubblico ufficiale o, in alternativa, prevedere la procedibilità d’ufficio contro gli aggressori- suggerisce Magi- ciò permetterebbe, tra l’altro, di conoscere i reali dati del fenomeno oggi ancora sottostimati. Va tenuto conto, infatti, che spesso e per vari motivi gli operatori sanitari non denunciano le aggressioni subite: devono querelare da soli e a loro spese, senza il supporto dell’azienda sanitaria per cui operano, poi per salvaguardare prima di tutto il rapporto di fiducia con gli assistiti, infine perché molto spesso intimoriti da ulteriori minacce di ritorsioni in caso di denuncia».