Nell’impianto di pacemaker e defibrillatori (Cied) le infezioni batteriche nella tasca chirurgica vengono abbattute al 61% se i dispositivi vengono prima avvolti in una membrana hi tech, impregnata da antibiotici a rilascio controllato, del costo di 1.000 euro. Un risultato enorme per vite umane salvabili (in Italia alcune migliaia di morti all’anno) e per abbattimento […]
Nell’impianto di pacemaker e defibrillatori (Cied) le infezioni batteriche nella tasca chirurgica vengono abbattute al 61% se i dispositivi vengono prima avvolti in una membrana hi tech, impregnata da antibiotici a rilascio controllato, del costo di 1.000 euro.
Un risultato enorme per vite umane salvabili (in Italia alcune migliaia di morti all’anno) e per abbattimento dei costi del Servizio sanitario, superiori a 125 milioni di euro annui: la prevenzione per i casi più a rischio, 15.000 su 0.000, costerebbe 15 milioni, e l’abbattimento cresce fino al 90%, secondo varie ricerche, tra cui il Valley Health Study.
È la notizia emersa nella presentazione in contemporanea di Wrap-it (Avvolgilo), il più grande studio di sempre per quantificare e combattere le infezioni batteriche da innesto di protesi cardiache, al congresso di cardiologia dell’American College of Cardiology a New Orleans e all’European Heart Rhythm Associaton, congresso europeo di aritmologia cardiaca a Lisbona.
L’indagine epidemiologica ha coinvolto in tre anni 256 ospedali e 776 cardiologi in Usa, Europa (Italia compresa), Asia e Nuova Zelanda ed è stata svolta su 7.000 pazienti, divisi in due bracci: nel primo i Cied erano stati impiantati con modalità tradizionali, nel secondo con la protesi avvolta dalla membrana TyRx, prodotta dalla multinazionale Usa Medtronic, impregnata da due antibiotici, rifampicina e minociclina, rilasciati in maniera costante per circa sette-dieci giorni. L’involucro – dice la società bolognese TRX Italy, che commercializza il prodotto nel nostro paese – viene assorbito in circa nove settimane.
Negli ultimi anni, spiegano alcuni ricercatori che hanno condotto lo studio, era stato evidenziato un forte aumento di infezioni, da stafilococchi o altri patogeni, successive a impianto di Cied in pazienti più esposti di altri a rischio infettivo a causa di alcune condizioni cliniche: diabete, problemi cardiaci, farmaci assunti, tipologia di protesi. Il metodo tradizionale (profilassi antibiotica preventiva) evita l’infezione del taglio operatorio ma non impedisce l’ingresso nella tasca di batteri normalmente presenti nella cute, ad esempio nei bulbi piliferi. Quei batteri si installano sui dispositivi, dove l’antibiotico non può arrivare, e diventano inattaccabili non appena hanno prodotto il biofilm, uno scudo che li rende invincibili anche dal sistema immunitario. Le infezioni possono causare seri problemi ai pazienti stessi con un’altissima mortalità: il rischio associato a questi impianti in generale è di circa lo 0,6% dei pacemaker e del 2,2% per i defibrillatori, anche se per alcune categorie di pazienti più a rischio, può superare il 30%. Secondo il Centro studi Sic (Federanziani), ogni anno in Italia 756mila pazienti subiscono infezioni ospedaliere, 7.563 (1%) muoiono: fino al 40% hanno subito infezioni protesiche. Secondo lo studio tedesco “Incidence and costs of cardiac device infections: retrospective analysis using German health claims data”, pubblicato sul Journal of Comparative effectiveness research (Future Medicine) da Saskia Ludwig, Cathrin Theis, Ben Brown, Andreas Witthohn, Wolfram Lux e Andreas Goette, si stima in 59.419 euro il costo per ogni infezione Cied mentre la mortalità di questi pazienti a tre anni è conteggiata al 50%. Con 15 milioni totali (110 in meno delle cure per gli infettati, spesso inutili) si potrebbero salvare.
Inoltre un uso massiccio di antibiotici per la terapia tradizionale sviluppa farmacoresistenza, di cui proprio l’Italia ha il primato negativo in Europa, con 10.000 decessi annui, tanto che nel 2050 le infezioni saranno la prima causa di morte al mondo se non si interviene, visto che la farmacoresistenza colpisce anche persone che non hanno fatto uso di antibiotici. Terapie a dosaggio minimale di antibiotici come TyRx dunque contribuirebbero a ridurre lo sviluppo della resistenza batterica ai farmaci.
Un rischio serissimo, come evidenzia la professoressa Maria Grazia Bongiorni, direttore UO Cardiologia 2 Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, tra i massimi esperti internazionali sulle infezioni da protesi cardiache: «La cura con dispositivi medici impiantabili, dei pazienti clinicamente sempre più complessi, ha comportato di pari passo un aumento delle infezioni dei dispositivi stessi. Come dimostrato dal Registro Europeo sull’estrazione degli elettrocateteri ELECTRa, l’estrazione dei dispositivi elettronici cardiaci rappresenta ad oggi il gold standard per la risoluzione della maggior parte delle complicanze infettive ma nonostante questo la mortalità a lungo termine dei pazienti che sono stati curati per un’infezione di dispositivi elettronici rimane alta. Per questo motivo strategie legate alla prevenzione del rischio di infezione, come ha evidenziato il Wrap-It, potranno giocare un ruolo chiave in questa importante battaglia».
Il risultato dello studio è straordinario, con il tasso di infezioni nel braccio con Tyrx crollato del 61%, in un conteggio che contempla anche i casi dei numerosi pazienti che difficilmente avrebbero sviluppato un’infezione, e che dunque diminuiscono la percentuale del calo, molto più alto, fino al 90%, nella popolazione a rischio elevato. Dati in Medicina così significativi sono rarissimi, afferma Mauro Biffi, responsabile della struttura Cardiologica di elettrofisiologia dell’Università di Bologna che ha partecipato allo studio ed è stato eletto ad estensore insieme a pochi altri colleghi del lavoro clinico che sarà pubblicato oggi su New England Journal of Medicine: «Il Wrap-It è il primo studio scientificamente corretto con una strategia mirata a ridurre le infezioni correlate alla chirurgia dei dispositivi medici ed è significativo come la profilassi antibiotica locale mediante l’involucro TyRx aggiunga un impatto così importante alle misure già elevate di profilassi antimicrobica quali la somministrazione preoperatoria di antibiotici e la rigorosa antisepsi chirurgica».
Aggiunge Giuseppe Boriani, direttore Cardiologia Università di Modena e Reggio Emilia: «Le infezioni dei pazienti con un dispositivo elettronico impiantato (Cied) sono un rischio non solo per i pazienti ma anche per i sistemi sanitari in quanto determinano elevatissimi costi legati alla degenza ospedaliera, alla terapia antibiotica prolungata, alla necessita di espiantare il dispositivo e gli elettrocateteri e di reimpiantarlo successivamente. Pertanto strategie associate a una riduzione del rischio di infezioni costituiscono un buon investimento per i sistemi sanitari».
Numerose strutture sanitarie private in Italia investono in prevenzione Cied, senza essere rimborsati dal Sistema sanitario nazionale: il direttore di Aritmologia ed Elettrofisiologia Cardiologica del Gruppo Villa Maria, Saverio Iacopino, sostiene di aver «verificato da tempo le potenzialità dell’involucro in quanto avevo osservato una drastica riduzione delle infezioni e dei problemi a queste associate e sinceramente, oggi, lavoro molto più tranquillo».