Il professor Francesco Saverio Mennini chiede che «politica e istituzioni si attivino prendendo decisioni sul modello assistenziale e sulle risorse da destinare per il supporto di percorsi di cura adeguati, presa in carico precoce dei pazienti»
«L’impatto dell’emicrania in Italia si attesta intorno ai 20 miliardi di euro l’anno, il 10% in costi diretti mentre il 90% riguarda costi indiretti e sociali». È uno dei dati più significativi emersi nel corso del convegno dal titolo “Emicrania. Presa in carico del paziente in Regione Lazio: confronto multi-stakeholder e prospettive future” svolto presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.
Quella dell’emicrania è una patologia complessa e multifattoriale di cui soffre circa il 12% della popolazione italiana (8 milioni di persone), per la maggior parte donne, con ricadute spesso importanti sia sulla qualità di vita che sull’attività lavorativa. Il suo impatto socio-economico è infatti molto importante, con una spesa media annua di 2 mila e 600 euro a paziente, dei quali il 5% arriva a perdere più di 5 giorni lavorativi al mese.
All’incontro, patrocinato dalla SIFO (Società Italiana di farmacia ospedaliera e dei servizi farmaceutici delle aziende sanitarie), hanno preso parte esperti del settore, dirigenti sanitari e parlamentari, con l’obiettivo di rilanciare la necessità di trasformare in malattia sociale l’emicrania, come previsto da un DDL approvato nel 2020 a cui però non hanno fatto seguito i fondamentali decreti attuativi. Uno strumento che se venisse adottato e applicato consentirebbe la sperimentazione di metodi innovativi per contrastarne i danni per la salute.
A sottolineare l’impatto socio economico della malattia è stato il prof. Francesco Saverio Mennini (Direttore EEHTHA del CEIS Facoltà di Economia, Università degli Studi di Roma Tor Vergata): «In Italia un recente studio (EEHTA CEIS) ha evidenziato come il costo diretto annuale di Chronic Migraine (CM) risulta essere 4,8 volte superiore a quello di Episodic Migraine (EM) (€ 2.037 contro € 427). Queste alcune stime che confermano l’elevato
impatto economico dell’emicrania sul SSN, sui pazienti e sulla società, anche sulla base della gravità della malattia».
Questo, afferma Mennini, «dovrebbe fornire la motivazione affinché politica e istituzioni si attivino prendendo decisioni sul modello assistenziale e sulle risorse da destinare per il supporto di percorsi di cura adeguati, presa in carico precoce dei pazienti, considerando i bisogni ancora insoddisfatti, che se non affrontati per tempo e con terapie adeguate, determineranno un ulteriore incremento dei costi e degli anni vissuti con disabilità generando conseguenze negative per il sistema di Welfare, per i pazienti ed i caregivers. Sottovalutare determinate patologie quali l’emicrania si traduce non solo in un aumento dei costi diretti ed indiretti sanitari, ma soprattutto in un aumento dei costi sociali che ricadono sulla collettività».
Quello dell’impatto sociale è un aspetto sottolineato anche da Paolo Calabresi, Professore ordinario di Neurologia – Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli” Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha evidenziato come «l’emicrania spesso impatta anche sulla decisione di non avere figli, specie in donne che soffrono in maniera cronica di questa patologia». Questo, sottolinea Calabresi, evidenzia la necessità «di formare al meglio i medici affinché siano in grado di distinguere le cefalee primarie da quelle secondarie, i cui effetti possono essere estremamente gravi per i pazienti».
Sull’impatto socio-economico sono intervenute anche le associazioni di pazienti. Per Lara Merighi, Coordinatrice Nazionale Al.Ce. Group CIRNA Foundation Onlus, «si arriva a spendere fino a 1.800 euro all’anno tra visite a pagamento, esami diagnostici, terapie psicologiche ed alternative, che spesso si tentano per mera disperazione. Inoltre, alcuni pazienti non rispettano i criteri di eleggibilità stabiliti da AIFA per il trattamento con gli anticorpi monoclonali ma pur di stare meglio sono disposti a pagarli di tasca propria e si tratta di farmaci a costo elevato».
Quello dei percorsi di gestione integrata dei pazienti è un punto fondamentale, come ha sottolineato Vittorio Di Piero (Professore Associato di Neurologia e Dipartimento di Neuroscienze Umane “Sapienza” Universitaria di Roma): «Organizzare un percorso integrato per le cefalee intra-ospedaliero significa da un lato farsi carico dell’urgenza, dell’arrivo del paziente al DEA, finalizzato al trattamento delle forme più gravi e pericolose, dall’altro dare la possibilità ai pazienti con forme primarie di ricevere le corrette cure. Un percorso dedicato potrebbe svolgere una funzione virtuosa liberando risorse del DEA attraverso la presa in carico di pazienti che non necessitano di approfondimenti diagnostici in urgenza e migliorando la qualità delle terapie e quindi riducendo la probabilità che la richiesta di benessere inevasa vada a ricadere sempre sulla rete dell’emergenza. Parallelamente al percorso intra-ospedaliero, deve esserci un interscambio con la rete territoriale dei medici di famiglia e dei neurologi ambulatoriali, in grado di farsi carico del paziente cefalalgico per semplificare l’accesso alle cure ed evitare che vadano a saturare i centri di riferimento ospedalieri, da riservare possibilmente ai casi più problematici e rari».
Sugli aspetti più clinici, relativi alle nuove cure si è soffermato Fabrizio Vernieri (Professore Associato di Neurologia e Responsabile U.O.S. Cefalee e Neurosonologia, Neurologia – Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico): «La scoperta del peptide correlato al gene della calcitonina (CGRP) sta rivoluzionando la fisiopatologia dell’emicrania e di conseguenza l’approccio farmacologico a questa malattia. Le evidenze dagli studi sugli anticorpi monoclonali diretti contro il CGRP (mAbs anti-CGRP) hanno cambiato la gestione del trattamento di prevenzione dell’emicrania. Sono inoltre in corso studi sui gepanti, altra classe di farmaci anti-CGRP, per il trattamento sintomatico e di prevenzione dell’emicrania. Ad oggi, le agenzie regolatorie del farmaco hanno tuttavia imposto delle limitazioni, in termini di frequenza degli attacchi, storia di farmaci assunti e disabilità, per l’utilizzo di questi farmaci dovute principalmente al loro costo».
Secondo i responsabili scientifici del convegno, Marcello Pani (Direttore U.O.C. Farmacia Fondazione Policlinico Universitario “A. Gemelli” IRCCS), Claudio Pisanelli (U.O.C. Farmacia Ospedaliera e Logistica del Farmaco ASL Roma 1), Fulvio Ferrante (Direttore Dipartimento Diagnostica e Assistenza Farmaceutica ASL Frosinone) «per garantire una migliore presa in carico dei pazienti cefalalgici e fornire risposte adeguate agli ‘unmet need’ riteniamo necessario fare il punto sulle attività implementate finora nella Regione Lazio, valutando con un approccio integrato fra i vari stakeholder i punti di forza e le criticità sulle quali proporre soluzioni utili e sostenibili».